Giuliano Ferrara invoca l'apocalisse di fuoco, digital art

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Bisogna che un’apocalisse sacrosanta di fuoco costringa le ributtanti milizie dello stupro e dell’eccidio a fare retromarcia... (Giuliano Ferrara, il Foglio, 15/3/2023) 

Giuliano Ferrara è stato tante cose nella sua vita – di biografie n'è piena la rete – e forse i più giovani non sospettano quanto sia stata ingombrante la sua figura per vent'anni e più, il berlusconiano con pretese culturali che proprio per questo andava irriso più degli altri, l'agente provocatore da cui ci si faceva provocare più volentieri perché almeno si aveva la sensazione di giocarsela su un piano elevato. Anche se poi per quanto elevato fosse il piano si finiva lo stesso a torte in faccia. Giuliano Ferrara è stato anche un neocon, un appassionato sostenitore degli interventi militari dell'era Bush Jr, nel breve periodo in cui questa cosa tirava, e per coincidenza si trattava anche del periodo in cui Berlusconi finalmente aveva trionfato sugli avversari, stava al potere e non sapeva che farsene. Bisognava trovare nuove battaglie e l'11 settembre /fu una manna dal cielo/ /cascò proprio a fagiolo/ fu provvidenziale per il suo personaggio. Tutte guerre inutili, mal combattute e deleterie, ma nel frattempo Giuliano Ferrara era altrove (a far cosa? Ah già, a salvare i feti dal genocidio).


Giuliano Ferrara è obeso, il che ha reso sempre un po' più difficile criticarlo senza indulgere nel fatshaming – lui stesso è stato abbastanza astuto da mantenere la sua stazza in primo piano, da farsene scudo. L'obesità lo espone a seri rischi di salute, per cui a un certo punto della sua vita Ferrara ha dovuto cominciare a prendersela un po' più calma, a costruirsi un personaggio più riflessivo, di intellettuale sardonico e molti ci sono cascati, molti hanno trovato comodo cascarci. Non è vero quasi nulla, l'intellettualismo di Ferrara è una posa, le sue basi culturali malferme, il suo gaddismo finto come l'ottone e basta ancora un qualsiasi picco glicemico per tirargli fuori l'animale. Ferrara, come tutti, è stanco di questa guerra che non è breve e risolutiva come tutti speravamo che fosse; del resto non succede così a qualsiasi guerra? ogni volta deve essere breve e risolutiva, magari l'ultima. I russi le prendono, e poi le prendono, e poi le prendono ancora, insomma continuano a prenderle eppure restano lì: è snervante, non dite di no. Un giorno qualsiasi Ferrara si stanca e decide di invocare gli "angeli sterminatori", che poi sarebbero – par di capire – l'aviazione Nato. Insomma è ora di superare certe ipocrisie, dichiarare guerra alla Russia o anche no, bombardare subito senza perder tempo in formalità. Dopo un anno di battaglie, con un numero di vittime che già rivaleggia con quello di alcuni dei più grandi eventi bellici dell'era contemporanea, si tratterebbe di ratificare che la terza guerra mondiale è già scoppiata, e quale sarebbe il casus belli? Hanno sparato a un arciduca, defenestrato i messi imperiali? Beh, quasi. Hanno dato del cazzaro a Crosetto. Accidenti, queste cose non si fanno. Non che Crosetto non stia facendo il cazzaro – Ferrara non ci prova nemmeno a difenderlo – ma è il nostro ministro della Difesa, "right or wrong", e quindi basta, adesso bisogna bruciare tutto, più precisamente l'Ucraina, quell'eroica nazione che senz'altro preferisce essere bruciata che ceduta al nemico. Il russo deve capire che anche a noi piace Wagner, nel senso del compositore: Ferrara scrive proprio così (no, in effetti lo scrive peggio). Qualcuno deve pure il falco, qualcuno deve pure invocare morte e distruzione in modo che risulti più moderato questo nostro temporeggiare, questo nostro tollerare un po' di morte, accontentarci di un po' di distruzione. 

Giuliano Ferrara, sono già passati nove anni, un mattino si svegliò dichiarando una "guerra di religione" contro l'Isis: altro che polizia internazionale, ci spiegava, contro la violenza dei jihadisti serviva una "violenza incomparabilmente superiore". Anche quella volta, cos'era successo di intollerabile? Avevano decapitato un giornalista americano. Come rappresaglia a un bombardamento. Per cui, insomma, una violenza circoscritta (l'esecuzione di un ostaggio) era stata usata per rispondere a una violenza già molto superiore (un bombardamento), ma sono finezze che la glicemia non sempre consente di apprezzare. Si intravede comunque un pattern, l'uomo reagisce allo stesso impulso: hanno offeso un uomo bianco che mi rappresenta; ha la mia stazza (Crosetto) o fa la mia professione (il reporter James Foley). E reagisce sempre allo stesso modo: invocando l'escalation militare di una Potenza Superiore che Ferrara nella vita ha sempre cercato e ha contorni ambigui – tanto tempo fa era Berlusconi, più di recente la Nato, più spesso il Pentagono, ma insomma è qualcuno potentissimo che vince tutte le battaglie per definizione, e se non le vince non è per debolezza ma perché non le vuole combattere davvero, Giuliano Ferrara ha 71 anni e ancora quando lo minacciano pesta i piedi e chiama papà. 

Giuliano Ferrara, come tutti noi, è convinto di avere ragione. Non solo per gli argomenti, che di volta in volta hanno a che fare con la democrazia, la libertà, sissì vabbe' non è che ci creda così tanto neanche lui: Ferrara è convinto di avere ragione perché sta dalla parte del più forte. È sempre stato dalla parte del più forte, che quando era ragazzo era il movimentismo, poi il Partito (incidentalmente, il partito dove lavorava suo padre e dove ha lavorato anche lui), poi la Rai finché non lo ha pagato meglio Berlusconi, poi Berlusconi, poi Washington, tutti fari di cultura e democrazia e libertà e insomma cosa aspettano questi fari ad accendersi sul serio al massimo voltaggio e incenerire i nemici di Giuliano Ferrara. Non varrebbe la pena di parlarne se la sua sindrome non fosse la nostra: siamo talmente abituati a guerre asimmetriche che non capiamo che questa non lo è. Ciò malgrado anche le guerre asimmetriche non è che siano esattamente andate come ritenevamo necessario che andassero: ce lo ricordiamo l'Afganistan? No, è acqua troppo passata. Ma insomma il nostro fastidio per un nemico che non si ritira è lo stesso che proviamo per un insetto che continua a ronzarci attorno: l'idea che una guerra contro la Russia sia una guerra totale non ci passa nemmeno per la testa, cos'è poi una guerra totale? Un anno fa temevamo di passare l'inverno al freddo (agli ucraini è successo), oggi ci si lamenta perché le auto elettriche non sono competitive – non tra dieci anni: adesso. Vogliamo vincere la guerra ma risparmiarci anche dei soldi, perché siamo fatti così? 

È possibile che settant'anni di responsabilità limitata in politica estera ci abbiano un po' viziato? Siamo convinti che da qualche parte si trovi un esercito potentissimo, soprattutto un'aviazione potentissima, che sconfiggerà sempre i nostri nemici, così come ha sconfitto noi. E ogni guerra ci sembra un gioco delle parti in attesa che questa Violenza Incomparabilmente Superiore non si manifesti in tutta la sua gloria. Avevamo il duce e la sua arma segreta; quando sono stati spazzati via abbiamo accolto gli americani come il nuovo duce e abbiamo dato per scontato che l'arma segreta l'avessero loro. Dopodiché scriviamo più o meno gli stessi corsivi del 1941, magari un po' peggio perché almeno la scuola gentiliana un po' di retorica te la lasciava; laddove Ferrara si barcamena tra un anglismo e l'altro come un menager brianzolo. Se davvero il Pentagono gli desse retta, sarebbe il primo a stupirsi di essere stato decifrato e compreso: quello tra falchi e colombe è sempre un gioco delle parti, anche in Russia c'è chi propone di spianare Polonia e Lituania. Nel frattempo il calendario va avanti, e ogni giorno di guerra in più cresce la possibilità di un incidente nucleare.

L'incidente nucleare non dev'essere per forza una bomba che distrugga qualche città. Più facilmente sarà una fuga radioattiva da qualche reattore, qualcosa che i posteri registreranno senza troppo sgomento – volevate l'energia nucleare e volevate la guerra di posizione, nello stesso continente? nella stessa nazione? A loro sembrerà la conclusione inevitabile. Non causerà necessariamente migliaia di morti, o magari lo farà col tempo, si sa che le radiazioni hanno tutto il tempo del mondo per danneggiare noi e nostri figli. I nostri figli, già. Ferrara non ne ha. E in fondo è un peccato: così tanti padri, così niente figli. 

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La cultura delle rape

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In questo periodo si parla soprattutto di stupro e io no. Non ho molto da dire, e il sospetto che qualsiasi cosa dicessi parlerebbe meno dell'argomento che di me – cerco di spiegarmi: più vado avanti e più cresce in me la sensazione che nessun argomento quanto il sesso attraversi in controluce la persona che ne scrive, tradendo dettagli privati sulla propria età, estrazione, formazione... è buffo perché in teoria dovrebbe essere una cosa naturale, il sesso, una cosa istintiva, e invece più ne parliamo e più riveliamo la nostra cultura, che non sempre interessa chi ci ascolta. Non c'è niente come il sesso per fare litigare generazioni che in teoria non dovrebbero farlo in modo molto diverso – insomma alla fine è solo sesso, quante posizioni vuoi che ci siano, quante combinazioni? – e invece basta anche solo un film di 15 anni fa e capisci che era tutto diverso, come quando in una partita a scacchi bastano tre mosse per cambiare completamente il valore di pezzi che a volte nemmeno si sono spostati. 

Faccio un esempio: se oggi su un social qualsiasi incontrassi un tizio che dice: eh ma magari la ragazza all'inizio con quei quattro ci voleva stare, cioè come facciamo a escludere che non ci fosse andata apposta, che la cosa le interessasse? Se io senza sapere nulla di un tizio così lo sentissi dire una cosa del genere, in pochi secondi già avrei formulato un'ipotesi sulla sua età (16 anni), sulla sua cultura (assai debole), sulla sua estrazione (non ricca) e pure la prognosi: meno porno, ragazzino. Nel frattempo però starei anche rivelando la mia formazione, la mia estrazione, la mia cultura ecc... Poi, siccome sono io, ci metterei assai poco a passare dal caso specifico a quello generale, cioè ma questi ragazzini davvero possono crescere convinti che una ragazza si ficchi in una situazione del genere per divertimento? ma davvero non è che c'è troppo porno in giro, non è che in queste giovani generazioni non stia per caso saltando la percezione comune della sessualità, di cosa è accettabile e no, di cosa è piacevole o no? Se io incontrassi qualcuno su un social che fa un discorso del genere.

Ma per fortuna non l'ho incontrato.


No vabbe' dai Ferrara tu non stai bene.

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I babyboomers che odiano Greta (hanno i loro motivi)

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[Questo pezzo è uscito su TheVision mercoledì]. I più famosi hater italiani di Greta Thunberg – qualcuno l'avrà già notato – sono tre babyboomers. Rita Pavone, che la trova un personaggio da film horror, è del 1945. Maria Giovanna Maglie che la metterebbe “sotto con la macchina” del 1952, come Giuliano Ferrara (“detesto la figura idolatrica di Greta, aborro le sue treccine e il mondo falso e bugiardo che le si intreccia intorno”). Il che significa tra l’altro che nel fatidico 1968 Ferrara e la Maglie avevano la stessa età che oggi ha Greta. Sono personaggi sopravvissuti egregiamente agli anni Sessanta, hanno assistito e a volte partecipato a mobilitazioni ben più radicali di quella promossa dalla sedicenne svedese. Altri detrattori della Thunberg li riconosci dalla mentalità compottarda (“cosa c’è dietro questa ragazzina?”) o ipercorrettista (“Se usa un bicchiere di plastica non può dare lezioni”). I babyboomers non ragionano così. In un certo senso non ragionano nemmeno. Il loro fastidio per il nuovo personaggio è qualcosa di incontrollabile: a malapena riescono a verbalizzarlo, e sì che due su tre vivono di parole.

La morale della favola è assai nota: si nasce incendiari, si muore pompieri. L'Italia è un Paese molto anziano, il dibattito pubblico è un giardinetto ostaggio di pensionati che borbottano e inveiscono contro i giovinastri rumorosi. I giovinastri stavolta non sono nemmeno particolarmente rumorosi – non spaccano neanche più le vetrine – ma i pensionati se la prendono lo stesso. Non dico che questa spiegazione non sia soddisfacente, ma vorrei proporne ugualmente una meno banale. Ferrara, la Maglie, la Pavone, hanno un altro carattere in comune: se la sono goduta parecchio, da enfants gâtés dell'Occidente. Il 1968 fu un episodio importante, ma se allarghiamo un po' lo sguardo il movimentismo è soltanto un momento della storia di una generazione; cui seguì la tentazione della radicalizzazione, il riflusso e il ritorno al privato, l'edonismo degli anni Ottanta, eccetera. Se volessimo assegnare a una generazione un'ideologia... saremmo dei maledetti semplificatori; ma se davvero volessimo farlo, diremmo che la priorità dei babyboomers è stata la liberazione dell'individuo. Una liberazione che negli anni Sessanta prendeva le forme della protesta sociale (ma senza trovarsi più a suo agio nelle forme tradizionali dei partiti di massa e dei sindacati); negli anni Settanta corteggiava la lotta armata; negli anni Ottanta si esprimeva nel consumismo senza più freni inibitori. Una liberazione che forse oggi smette di avere senso, nel momento in cui una ragazza svedese ci ricorda che non c'è futuro per chi non riesce a riciclare carta e plastica. Sono cose che fanno incazzare i babyboomers, non perché siano anziani – ok, ormai sono anziani – ma perché per buona parte della loro vita sono stati abituati a disobbedire alle regole, dubitare delle autorità, mettere in crisi le convenzioni. È stato un momento importante, in certi casi eroico e in altri tragico, ma è finito. Il consumo sfrenato è finito. Persino il capitalismo, sì, potrebbe avere i giorni contati. Non è colpa di nessuno, ovvero è colpa di tutti: siamo troppi, il pianeta si sta scaldando, eccetera eccetera. Greta è fastidiosa perché ce lo ricorda. È inquietante perché da un volto al senso di colpa collettivo di una e più generazioni, nei confronti di quelle che verranno e assisteranno coi loro occhi alla catastrofe ambientale che gli esperti danno ormai per difficilmente evitabile.

Quando il presidente dell’Istituto superiore di Sanità ci informa del rischio che “i nostri nipoti non possano più stare all’aria aperta per gran parte dell’anno a causa dell’aumento delle temperature”, non sta parlando dei protagonisti di un romanzo distopico: i “nipoti” sono Greta e i suoi coetanei. È normale che si preoccupino molto più dei padri e dei nonni. Il benessere che i genitori hanno dato per scontato è fatto di tanti privilegi a cui devono prepararsi a rinunciare. (continua su TheVision).



Oltre a dare un ultimatum ai governi che non sono in grado di recepirli, o a diffondere buone pratiche ambientaliste che da sole non risolveranno mai il problema, le manifestazioni della prossima generazione servono anche ad abituare gli stessi manifestanti ad accettare l’idea. Certo, molti continueranno a rifiutarla, come dimostra il fatto che la lotta ambientalista non è nata ieri eppure in questi decenni i progressi sono stati pochi e lenti. Eppure la lotta di Greta è lungi dall’essere inutile. Non sarà la soluzione, ma il ruolo di un’adolescente svedese per la sua stessa generazione è fondamentale.

Qualsiasi previsione più o meno scientifica sull’aumento della temperatura degli oceani e dell’atmosfera nei prossimi anni non ha ancora tenuto conto del dato più imponderabile: a un certo punto cominceranno a scaldarsi anche gli esseri umani, forse in modo incontrollabile. I tafferugli dei giléts jaunes francesi non sono che una timida avvisaglia di quello succederà in Occidente quando la crisi ambientale busserà davvero alla porta e i governi cominceranno a varare politiche di repressione dei consumi. Il che difficilmente succederà grazie a qualche manifestazione giovanile al venerdì fin quando ben più della metà della popolazione occidentale rifiuta ancora l’evidenza, e vota per chi fa del rifiuto un manifesto politico. Ma prima o poi succederà. E così come il terrorismo islamico non era sentito come un problema fino all’undici settembre, per avere il riscaldamento globale al primo punto dell’ordine del giorno bisognerà aspettare un disastro più eclatante del solito che metta davvero in discussione la vita e la sicurezza dell’Occidente (perché in fondo uragani e alluvioni ci sono già: e l’inquinamento fa già centinaia di migliaia di morti).

Ma quando i primi disastri costringeranno i governi occidentali a varare misure di emergenza, i cittadini accetteranno la progressiva soppressione delle libertà individuali? Giuliano Ferrara sicuramente no, basti ricordare il casino che fece quando un ministro gli vietò di fumare nei locali pubblici. Pazienza per Ferrara e per Maglie, ma quanti sono come loro? Non siamo un po’ tutti come loro? Quanto siamo disposti a modificare la nostra dieta, le nostre abitudini, il nostro stile di vita, i nostri desideri? Il giorno che una coetanea di Greta ci dirà che non possiamo più mangiare carne o prendere un aeroplano, forse capiremo cosa intendeva confusamente Maglie quando confessava di volerle passare sopra con la sua macchina.
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Buon compleanno Giuliano Ferrara

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E buon risveglio.

(Alla voce: creature antropomorfe che senza il Foglio nessuno si sarebbe filato).
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Ma Trump non è Berlusconi

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Un giorno - possibilmente da qui ai primi di novembre - dovrò tentare di spiegare anche a me stesso perché Trump non mi sta spaventando neanche un quinto di quel che mi spaventava il piccolo Bush. Nel frattempo però lascio un appunto sul paragone più banale che sta girando tra i giornalisti: quello con Berlusconi.

Paragone ormai abusato non solo tra giornalisti italiani, a cui non sembra vero poter vantare vent'anni di esperienza di un mitomane col parrucchino (il che dimostra che in vent'anni non hanno messo a fuoco il problema): la cosa sta prendendo piede anche tra gli anglosassoni; per esempio ieri il Financial Times definiva Trump un "Berlusconi americano", benché privo del suo fascino e del suo talento per gli affari ("albeit without the charm or business acumen"). Ok, divertente. E forse la maggior somiglianza col caso italiano non sta nei due personaggi, ma proprio nella reazione incredula e stizzita che scatenano presso il ceto intellettuale, non solo a sinistra: effettivamente il passaggio dalla sottovalutazione all'indignazione al panico qui in Italia l'abbiamo vissuta più di vent'anni fa. E abbiamo capito - purtroppo un po' meno di vent'anni fa - che insistere sulle gaffes del tizio non fa che renderlo più forte verso il suo serbatoio elettorale: del resto in Italia l'anti-intellettualismo lo studiamo da un secolo, siamo passati per il fascismo e il qualunquismo ed evidentemente non abbiamo ancora trovato il vaccino efficace.

Detto questo, chi paragona Trump a Berlusconi mostra di non aver capito qual era il vero problema con Berlusconi: non il parrucchino, non le barzellette e le figuracce, le smorfie ai vertici internazionali (per quanto, via, chiamare kapò un europarlamentare tedesco) e nemmeno l'imbarazzantissima esuberanza sessuale, che è poi il motivo per cui all'estero lo conoscono e ce lo ricordano ridacchiando. Non è nemmeno il populismo - o meglio, il populismo è un problema grave, ma esisteva prima di Berlusconi e non è affatto tramontato con lui. E allora cosa?

C'è bisogno di ricordarlo? A quanto pare sì. Berlusconi possedeva quasi metà dell'etere televisivo, in spregio della normativa (Rete4 avrebbe dovuto finire sul satellite); e quando vinse le elezioni modificò la normativa e mise le mani anche sull'altra metà, quella pubblica. Nel frattempo era uno dei principali editori italiani, e uno dei principali concessionari di pubblicità, che raccoglieva sul mercato e rivendeva alle sue aziende. In sostanza per qualche anno in Italia non ci furono direttori di reti televisive e tg che lui non approvasse direttamente o indirettamente: malgrado fior di opinionisti assunti in queste reti o dai suoi giornali ci spergiurasse che no, Berlusconi non vinceva le elezioni grazie alle televisioni: che il fatto che continuasse a esercitare quel controllo, arrivando a fare i nomi di chi non voleva più in RAI, fosse semplicemente una coincidenza, una cosa che gli capitava di fare perché si sa, la tv è sempre stata il suo pallino.

Quanto a Trump, per quel che ne so è un palazzinaro e una celebrità televisiva. Ma non possiede la CBS, né la FOX, né la CNN né una delle Big Three: che di conseguenza possono decidere di parlare di lui come vogliono. Anche molto male. Forse avrete intravisto anche voi lo spezzone dello show di John Oliver (definirlo "comico" è riduttivo) dedicato a Trump: venti minuti di demolizione sistematica del personaggio, andati in onda su HBO e poi rimbalzati via internet in tutto il mondo. Ecco, questo su un canale televisivo italiano nel 2002 sarebbe stato impossibile. Negli USA invece si fa abitualmente, e si continuerà a fare persino nel malaugurato ma sempre più probabile caso in cui il mitomane di turno vinca le elezioni. Perché davvero, non è che le televisioni siano indispensabili per farti vincere.

Però in Italia aiutano.

Ognuno poi ha i suoi parametri, le sue pietre di paragone: il mio canarino-in-miniera è Giuliano Ferrara, a cui Trump dà un certo fastidio. Per il populismo? Ferrara ne ha avallati di peggiori. Per il cattivo gusto? Parliamo del tizio che si mise il rossetto e andò in piazza col cartello "siamo tutti puttane", per solidarietà col capo accusato di avviare minorenni alla prostituzione. E allora, insomma, cosa c'era in Berlusconi che Ferrara non riesce a trovare in Trump? Secondo me è una questione preconscia: Ferrara non pensa, Ferrara annusa. E per quanto inspiri, non riesce a sentire quell'odore di vero potere che gli darebbe alla testa. Per un Berlusconi si sarebbe messo in mutande; per un Bush era disposto a millantare consulenze con la CIA; per Trump niente. Lo trovo molto indicativo.
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Soffia sulle candeline

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(Oggi Giuliano Ferrara compie 63 anni, a dar retta a wiki. Tanti auguri).

Soffia sulle candeline (G.Giacobetti/V.Savona/B.A.Stardo)


Tanti auguri per te,
tanti auguri per te,
Mille giorni felici.
Tanti auguri per te.

Se compi un anno stringi forte le manine,
prendi fiato a più non posso e soffia, soffia innanzi a te:
soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

Se son due anni e già le prime paroline
tu sai dire alla mammina, prendi fiato insieme a me:
soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

E se invece gli anni sono tre,
un brindisi puoi fare... ma non rompere il bicchier.
A quattr’anni puoi già far da te:
tagliar la torta a fette e darne un poco pure a me.

A cinque anni coi bambini e le bambine
una festa tu farai dedicata tutta a te!
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

Se son sei anni già ricevi cartoline
mentre il nuovo sillabario si fa leggere da te:
soffia sulle candeline! ecc.

Se son sette già raccogli figurine
dei campioni del pallone che gareggiano per te:
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

Quando invece otto anni avrai,
ti senti già Pioniere e i giardinetti esplorerai.
Anni nove: vuoi fare il ballerin
e balli l'hully gully con la figlia del vicin.

A dieci anni, che passione per il cine!
Entusiasta dei cow boy, cosa mai potrai temer?
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

A sedici anni vuoi già fare il Sessantotto
a Valle Giulia un poliziotto
sta inseguendo proprio te.[51]
Soffia sulle candeline! ecc.

A vent'anni metti incinte ragazzine
che abortiscon clandestine
per non dar fastidio a te[43].
Soffia sulle candeline! ecc.

A ventuno sei già ben retribuito[3],
con un posto nel partito
che papà trova per te.
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te.

A ventotto ti trovi migliorista
ti candidi a Torino e hai il primo posto nella lista[6].
Quando invece i tuoi trent'anni avrai
per Sabra e per Shatila i tuoi piedini pesterai[10].

A trentacinque hai una rubrica sul Corriere,
cosa mai potrai temere?
Craxi veglia su di te.
Soffia sulle candeline! ecc.

A quaranta che passione per la tele
ci conduci trasmissioni che si scrivono per te...
Soffia sulle candeline! ecc.

A quarantadue vuoi fare per davvero
prima provi un ministero, ma non era adatto a te.
Soffia sulle candeline! ecc

A quarantatré vuoi far l'intellettuale
sopra un foglio originale
che ora stampano per te.
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

A cinquanta alla guerra vuoi chiamar
e il drappo d'Israele, eroico, in piazza sventolar.
Cinquantotto - e hai già un'altra passion:
diventi antiabortista e salvi tanti, tanti embrion.

Su questa torta rilucente di perline,
dopo sessanta candeline altre cento aspettan te.
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te.

Tanti auguri per te,
tanti auguri per te!
Mille giorni felici,
Tanti auguri per te.
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AntiPerformatiValter

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Nella teoria degli atti linguistici di John L. Austin esistono quei famosi "atti performativi", che sono discorsi che non si limitano ad affermare o a commentare, ma fanno esattamente quello che dicono di fare. Ad esempio, "lascio in eredità la casa a mio figlio" non è una semplice affermazione: chi la dice/scrive sta proprio lasciando in eredità la casa a suo figlio, in quell'esatto momento, se c'è un notaio nei pressi.

Ora chiedo aiuto a chi il linguaggio l'ha studiato seriamente: qualcuno ha mai pensato all'esistenza di atti anti-performativi, discorsi che disfano proprio quello che stanno affermando e proprio nel momento in cui lo affermano? Per esempio, quando uno dice: Sono molto modesto: proprio in quel momento non lo è più. Oppure uno che urla: voglio Silenzio! Però questo secondo esempio in realtà non funziona, perché uno urlando spera comunque di essere performativo e di ottenere in un secondo momento il silenzio a cui aspira. In realtà non è così facile usare la lingua in modo antiperformativo. Bisogna vivere sul filo del paradosso, non è da tutti. Ma sicuramente è da Veltroni.

Vi ho fregati, altro che filosofia del linguaggio, quello che segue è un altro pezzo su Veltroni. Sì, ci sono ricascato. E dire che le ho provate tutte. Mi sono trovato questa bella rubrica, per esempio domani si festeggia la cattedra di San Pietro, non San Pietro ma proprio la cattedra di legno, non è fantastico? Il mondo è pieno di cose meravigliose di cui scrivere, la vita è breve, l'arte è lunga, e non combinerò mai niente di buono se ogni volta devo fermarmi perché Veltroni ne ha detta un'altra.

D'altro canto lui esiste, e rilascia interviste che sono atti antiperformativi: non vale la pena di segnalarlo agli studiosi? Quando chiama Maltese e rilascia un'intervista dove detta una linea del PD che non ha niente a che fare con la linea del segretario del PD, e nello stesso momento afferma: basta correnti, Veltroni non sta semplicemente giocando a rompere il suo partito e minare la sua fragile risalita nei sondaggi; non sta semplicemente pestando nel torbido del dibattito interno, offrendo a giornalisti interessati settimane di polemiche che poi ricascheranno nel nulla. Veltroni sta sfidando il principio di non contraddizione che è alla base del pensiero razionale moderno scientifico occidentale, Veltroni sta andando oltre, chi sa dove chi sa dove, in una nuova dimensione dove le correnti si fondano negandone la necessità.

E allora dite quel che volete, ma non negate che Veltroni sia affascinante. Molto, molto più interessante del tizio peace and love and figurine che credevamo di aver candidato quattro anni fa. Veltroni è oltre, Veltroni è post, Veltroni è il primo vero politico italiano a vivere in una dimensione 2.0, e in questa dimensione Veltroni si è preso un ruolo di tutto rispetto che è quello del troll. E come tutti i troll, Veltroni è in cattiva fede: non può non sapere che partiti senza correnti ce ne sono stati tanti nel Novecento, anche perché il più importante di tutti è quello in cui è cresciuto lui, il Partito Comunista Italiano. Esatto, sì, era un partito senza correnti formalmente riconosciute: a differenza della Democrazia Cristiana, dove le correnti erano associazioni con tessere, convegni, dirigenti, nel PCI tutto questo per statuto non esisteva. E i miglioristi? Giorgio Amendola era un migliorista. Giorgio Napolitano era un migliorista. Giuliano Ferrara era un migliorista. I miglioristi insomma esistevano; candidavano loro esponenti a livello locale e nazionale; avevano quote di tutto rispetto nelle cooperative e i loro corsivisti di riferimento sull'Unità. Però non potevano chiamarsi corrente, perché il centralismo democratico del PCI non ne prevedeva l'esistenza. Formalmente.

In pratica erano una corrente e si comportavano da corrente, perché - come Veltroni sa benissimo - non c'è nessuna disciplina interna compatibile con la democrazia che può impedire un insieme di esseri umani di pensarla tutti nello stesso modo e organizzarsi all'interno di un partito. Quindi in pratica cosa sta chiedendo Veltroni quando dice che vuole abolire le correnti? Rivuole il centralismo democratico, per cui il segretario detta la linea e la minoranza borbotta impotente contando i giorni al Congresso? Difficile conciliare una visione del genere col veltronismo militante, che consiste nel telefonare a un giornalista ogni volta che si ha una mezza idea da buttar lì, e chìssene se c'è un segretario regolarmente eletto che la pensa in un modo diverso. Quindi: correnti riconosciute no, sarebbe come rifare la DC. Centralismo e correnti sottaciute no, sarebbe come rifare il PCI. Cosa vuole esattamente dalla vita e da noi Veltroni? Una cosa nuova. Il partito leggero. Il partito leggero è una cosa fichissima, l'ha teorizzato Giuliano Ferrara ma avrebbe anche potuto farlo George Orwell dopo aver mangiato pesante. Il partito leggero non ha iscritti, perché gli iscritti potrebbero condizionare le scelte del leader. Il partito leggero elegge il leader mediante primarie, dove tutti i cittadini, senza tessere, possono eleggere i candidati: e per tutti si intende proprio tutti, non c'è nessun sistema per tenere fuori elettori di altri partiti e semplici disturbatori: tutti dentro, tranne i cinesi perché dei cinesi Veltroni sospetta.

Il popolo insomma, cinesi a parte, elegge un leader, scegliendolo da una rosa di candidati che sono espressi non si capisce da chi, visto che correnti non ce ne possono essere. O forse possono esserci soltanto la settimana in cui ci si candida, e devono promettere di sciogliersi subito dopo giurin-giuretta. Il popolo elegge quindi il suo leader, e da quel momento in poi non ci sono correnti, non ci sono minoranze, c'è "più pluralismo" che però non si può organizzare, e quindi non si può esprimere, tranne evidentemente Veltroni, che può rilasciare interviste alla Stampa al Corriere o alla Repubblica. Ma forse mi sbaglio, forse non è una prerogativa che Veltroni vuole per sé, forse qualsiasi non-iscritto al PD ha il diritto di protestare facendosi intervistare sulla Stampa o sul Corriere o su Repubblica, e in ciò consiste il pluralismo. Probabilmente è così, probabilmente la prossima volta che non apprezzo un'uscita di Bersani invece di perdere tempo qui chiamo direttamente Maltese che si prenoti un paio di pagine e un titolo basso in prima. Il partito leggero in somma è così... ah, dimenticavo, Veltroni non solo vuole primarie senza correnti, ma le vuole obbligatorie per tutti i partiti, che se ci pensate è fantastico, cioè, perché poter votare soltanto per il segretario del PD? ma giustamente io voglio scegliere anche il candidato PdL, e IdV, e mi vengono anche in mente un paio di nomi per Rifondazione. In pratica dopo un po' ci sarebbe un gruppo di aficionados che vota a tutte le primarie che trova: ma a quel punto a che serve eleggere tanti partiti diversi? Ma facciamone un solo Partito unico, no? Tanto alla fine della fiera si tratta solo di trovare un modo poco macchinoso per eleggere Monti alla carica che ha già.

Più o meno questa è l'idea di 'leggerezza' di Veltroni-Ferrara: una leggerezza opaca (non sono identificabili né i gruppi che esprimono una candidatura, né gli elettori), strutturata per legge (le primarie obbligatorie), plebiscitaria (l'elettorato non può darsi nessuna organizzazione intermedia, deve votare un leader e poi sciogliersi in attesta della consultazione successiva). Il potere rimane nelle mani del leader, il dissenso in quelle di chi ha in rubrica i numeri di telefono dei giornalisti. E nota che non sono alieni appena arrivati da un disco volante: sono esperti di Novecento che hanno studiato il Novecento e non fanno altro che parlare di Novecento, ogni loro parola è talmente pregna di quel secolo mai troppo breve che Veltroni non riesce neanche a dire la parola "tabù" senza soggiungere che l'ha già usata Freud, insomma è una parola certificata Iso-Novecento: e dopo tutto questo mangiare Novecento, ruttare Novecento, cacare Novecento, il risultato è che ti buttano lì una proposta di partito totalitario per il nuovo millennio, ma grazie tante, è proprio vero che la Storia insegna un sacco di cose a chi l'ha studiata bene.
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Certi gatti sono più bigi di altri

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Ma voi mettetevi nelle squame del direttore del Giornale, che finalmente aveva trovato la campagna giusta, e probabilmente pregustava di farci prime pagine su prime pagine, Malinconico Dimissioni, Malinconico Vergogna!, Malinconico ancora lì? Gli ozi di Malinconico... più tutti i più vieti giochi di parole che il triste cognome può suggerire al fantasioso titolista, insomma immaginatevi l'eccitazione, l'entusiasmo, il brio col quale si stava apprestando a scrivere per cinquanta giorni in cinquanta diversi modi "chi non ha mai peccato scagli la prima pietra"...


...e invece al primo titolo, Malinconico che fa? Si dimette davvero. E adesso? Ci si ributta su Fini, ovviamente. Le dimissioni che spiazzano Sallusti (e Ferrara) si leggono sull'Unita.it e si commentano là (H1t#108).

Tutta la mia solidarietà allo sfortunato direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, che probabilmente già pregustava una lunga campagna per chiedere le dimissioni del sottosegretario Malinconico: gli è andata male, il sottosegretario si è dimesso subito. Ora toccherà inventarsi qualcos’altro per dimostrare che tutti sono corrotti, tutti sono inquisibili, eccetera. Mal che vada ci si può ributtare sui vecchi classici, per esempio le dimissioni di Gianfranco Fini – è da un po’ che non si sente parlare del suo interessantissimo appartamento a Montecarlo (NB: scherzo. Sul famoso appartamento monegasco Feltri e Sallusti ci fecero prime pagine per un mese, nell’autunno 2010. Bei tempi. Belle notti. Tutti i gatti erano bigi, tutti erano inquisibili, nessuno si dimetteva…)
Un po’ di solidarietà anche per lo sfortunato opinionista di Rai1, Giuliano Ferrara, che ieri sera è andato in onda in uno stato un po’ più confusionale del solito, perlomeno mi è parso così. Dopo averci riassunto l’affaire Malinconico per sommi capi, ci ha spiegato che i giornalisti dovrebbero smetterla di cercare storie del genere e di gioire, addirittura, quando le trovano, perché nessuno è mondo dal peccato(mi sembra che abbia detto proprio detto così), tutti possono fare degli errori, anche il presidente della Repubblica Federale Tedesca ne ha fatti, eccetera eccetera, ci vediamo domani, ah no scusate domani c’è la Champions, boh. Forse Ferrara è semplicemente nei postumi dell’Epifania, la maledetta festa che spazza via le altre e ci lascia soli davanti a un terribile anno nuovo.
O forse è rimasto anche lui spiazzato da questo governo, che fa cose incredibili. Questi sottosegretari, per esempio, che si dimettono per cosucce da nulla, vacanze non pagate, appena i giornalisti se ne accorgono… E a proposito, maledetti giornalisti, ma perché indagano? E addirittura, quando qualcosa salta fuori, gioiscono? Ferrara non se ne capacita, evidentemente secondo lui il giornalismo dovrebbe servire a qualcos’altro. Probabilmente a spiegarci che tutti pecchiamo, come Berlusconi, e quindi non dobbiamo attentarci a scagliare la prima pietra contro il prossimo, che in nove dei dieci casi che interessano a Ferrara è Berlusconi. Ecco, magari ieri pomeriggio Ferrara aveva già pronta una predica di questo tenore. Anche Malinconico si faceva offrire le vacanze, tutti si fanno offrire le vacanze, tutti sono corrotti, anche voi, anche io, e il presidente della Germania Federale, e quindi non prendetevela (con Berlusconi). Poi però Malinconico si è dimesso – e a Ferrara è toccato cambiare la forma della predica in fretta e furia. Non la sostanza, che rimane la stessa: siamo tutti peccatori. Difficile dargli torto. Abbiamo tutti qualcosa negli occhi: chi travi, chi pagliuzze, nessuno ha la vista del tutto sgombra.
Ma non siamo nemmeno del tutto ciechi; perlomeno, la differenza tra l’ultimo governo Berlusconi e quello guidato da Monti la notiamo. Magari non è il governo che vorremmo o voteremmo, ma è un governo decente. Se emergono storie non chiare su di un sottosegretario, quello se ne va senza troppe manfrine. Com’è giusto che sia. Perché forse è vero, di notte tutti i gatti sono bigi. Ma alcuni sono molto più bigi degli altri, più della notte stessa; forse senza di loro tra i piedi si comincerebbe a vedere un po’ d’alba.http://leonardo.blogspot.com
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Il grande discorso che non ascolteremo

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Sempre a proposito di scrittori mediocri: Ferrara si è arrabbiato. Ferrara ha scoperto che intorno a Berlusconi c'è una classe dirigente penosa. Nel 2011. Se n'è accorto. Perché hanno stracciato il discorsetto che aveva preparato per Berlusconi alla Camera, chissà quale capolavoro ci hanno impedito di ascoltare. E lui si è arrabbiato. Con chi? Con Gianni Letta? No, macché.


Con Sandro Bondi. Le vere eminenze grigie dietro Berlisconi devono avergli detto "lascia perdere il panzone, si è intestardito con questa idea delle elezioni in inverno che non convengono davvero a nessuno", e Ferrara con chi va a prendersela? Con Sandro Bondi. Come il servo bastonato che esce nell'aja e molla due calci al cagnolino, siamo a questi livelli, popolo delle Libertà.

E io ci ho scritto una teoria sull'Unità, ed è la Teoria Numero Cento! Sempre a proposito di scrittori mediocri (ma costanti).
(Si commenta laggiù).

L'inutilità di Giuliano Ferrara


leonardo
Ma quanto ci è rimasto male Giuliano Ferrara, perché Berlusconi alla Camera non ha letto il suo discorso? È da due giorni che sbraita, ma contro chi esattamente? Già, perché ci dev'essere pure qualcuno che ha convinto Berlusconi a lasciar perdere, a non chiedere lo scioglimento delle camere proprio mentre annunciava di votare per il prolungamento della legislatura; insomma a non leggere un discorso da matto ('Voto Monti ma Monti non è democratico'), che avrebbe certificato in sede parlamentare e in diretta tv la sua dissociazione dalla realtà. E dire che a fare la sua figura da matto Berlusconi era già pronto: addirittura lo aveva già annunciato su facebook... Poi qualcuno (qualcuno abbastanza in alto, evidentemente) lo ha convinto a tacere, a mandare avanti Alfano. E Ferrara non ci ha visto più, ora se la prende con tutti – che è un modo come un altro per non prendersela con nessuno di preciso. Ieri mattina raddoppiava la dose addirittura contro Bondi, il mite Bondi, l'Orfeo di Fivizzano; ecco con chi si scaglia Giuliano Ferrara: sempre col più debole. E cosa non gli scrive:

Avete condotto al disastro una grande avventura politica (perché non hanno fatto leggere a Berlusconi un discorso di Ferrara...) “e alla fine avete anche ammazzato, imbavagliandolo, il suo e vostro padre, Berlusconi” (non facendogli leggere un intervento suicida di Ferrara). “Non siete una classe dirigente” (le classi dirigenti infatti tengono in gran conto la retorica di Ferrara). “Non leggete i libri e i giornali e i documenti giusti” (quelli che legge e scrive, par di capire, Giuliano Ferrara), “non leggete la realtà che confligge con la vostra vanità” (e non con la vanità del grande speechwriter Giuliano Ferrara), “siete stati ineffettuali e autoreferenziali” (invece di riferirvi a Giuliano Ferrara), non sentite il peso della opinione popolare (le masse che per esempio non si perdono una puntata della popolare trasmissione in prima serata di Giuliano Ferrara) “e non sapete trattare le élite” (Ferrara e i suoi quindici lettori paganti), “vi siete comportati da isterici in difetto di volontà” (e ve lo dice un tranquillissimo Giuliano Ferrara...)

Cose del genere si possono scrivere giusto a Bondi, l'unico forse non abbastanza dotato di spirito per rispondere a tono: caro Ferrara, il tuo discorso Berlusconi non l'ha letto perché probabilmente era un discorso da matto. Votare un governo e nel frattempo chiedere lo scioglimento delle Camere è un paradosso che solo i quindici lettori paganti del Foglio possono apprezzare, ma appunto, parliamo di gente che paga per leggere il Foglio. Magari il motivo è perfino più banale: magari era semplicemente un brutto discorso, visto che l'hai scritto tu che – rassegnati – non sei un buon scrittore; puoi inserire qualche vocabolo astruso ogni tanto e strascicare qualche periodo oltre il normale, ma da sciatto a prolisso non c'è tutto quel salto di qualità che ti immagini. Non sei un grande speechwriter all'americana, non lo sei mai stato; perfino i migliori discorsi di Berlusconi, sì, non erano un granché; e comunque non li hai scritti tu.

Così come non sei nemmeno quel grande stratega: hai avuto qualche importanza nella primissima fase di Forza Italia, quando Berlusconi appena insediato ti fece ministro: pochi mesi dopo era già dimissionario e tu esaurito in clinica. Da lì in poi sei rimasto nella cerchia dei simpatici confidenti; lui ha intestato a sua moglie il tuo giornaletto e ogni tanto magari ti chiedeva un consiglio, ma è una questione di cortesia, lui ha sempre fatto fatica a dire di no, magari ti ascoltava anche, ma se è per questo ascoltava pure Mara Carfagna - perché, sul serio credi di avere avuto, negli ultimi dieci anni di berlusconismo, una posizione più centrale di quella di Mara Carfagna? Tu volevi una moratoria contro l'aborto, la Carfagna pretendeva che le lucciole in tangenziale almeno si coprissero, non c'è davvero gara su chi sia stato più pragmatico, su chi si abbia cambiato le cose anche di un solo millimetro. Ti sei inventato la storia della fronda, per giustificare il fatto che Berlusconi non ti dava retta e probabilmente non ti leggeva neanche più; ti sei lanciato in avventure tutte tue, il neoconservatorismo, l'antiabortismo, alle elezioni pensavi di essere decisivo e invece si scoprì che valevi zero virgola; e il bello è che lui lo sapeva, Ferrara, lui di politica ne capiva un po' più di te.

La misura di quanto il Capo stia male, circondato ormai da gente dissociata quanto o più di lui, non sta tanto nella qualità delle ultime barzellette o nella statura delle accompagnatrici, ma nel fatto che abbia ripreso a dare un po' retta pure a te, o Giuliano Ferrara. In questi mesi non facevi che esaltare lo spirito del '94, come se il Berlusconi monopolista del '94 fosse in qualche modo diverso di adesso: quando l'unica differenza che hai davvero in mente è che nel '94 i tuoi consigli li seguiva. E non sei mai contento: ti pagava il giornaletto, tu volevi un posto in tv; hai piagnucolato finché non hai ottenuto la prima serata. Non basta, non basta mai: volevi pure la gorgiera da ciambellano, lo zucchetto da eminenza grigia; volevi che leggesse alla Camera la tua letterina contro Sarkozy cattivo, la BCE cattiva, Monti antidemocratico. Come se davvero qualcuno fosse ansioso di andare alle elezioni a Natale, come hai annunciato tu in diretta tv – ma sei sicuro che al tuo Capo convenga? Hai fatto sondaggi, o è come quella volta che pensavi di fare il sette per cento con la lista pazza e sei rimasto a quota zero virgola zero?

Dopodiché, non è che hai tutti i torti: quella intorno a Berlusconi non è una classe dirigente, basti pensare che tra loro alberga uno zero virgola della strategia politica come Giuliano Ferrara. Non leggono i libri e i giornali giusti: perdono ancora tempo con le versioncine malcopiate di Giuliano Ferrara. Non leggono la verità, che confligge con la smisurata vanità di primedonne tronfie come Giuliano Ferrara; non sentono il peso dell'opinione popolare, che appena vede Zero Virgola Ferrara cambia canale; quanto alle élites, c'è un grosso equivoco: credono che sia il fumoso club dei vecchietti che parlano strano, come Giuliano Ferrara. E in generale si comportano da isterici, basta vedere... quel giornalista grosso che c'è in tv, come si chiama... Ecco, io gli avrei risposto così. Meno male che non faccio lo speechwriter di Bondi. http://leonardo.blogspot.com
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Ma tu non sei Eugeeeeeeeeeeeeew

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Più fatti, meno Ferrara

Una cosa non privata che vorrei salvare della Blogfest 2011 (a proposito, grazie!, pensavo proprio peggio) è il vicedirettore del Fatto Quotidiano, Gomez, che gela il pubblico dicendo, testuale: “abbiamo quattrocento blogger che lavorano per noi assolutamente gratis [...] speriamo che questi quattrocento diventino presto quattromila, e forse ci arriveremo a prendere anche quegli altri” [intendeva Repubblica Corriere e Stampa, gli unici siti giornalistici che vanno più forte del FQ].

In realtà l'infortunio sta tutto in un verbo, “lavorare”. Bastava che Gomez dicesse “collaborare”, e tutto sarebbe filato abbastanza liscio. Perché no, nessuno si aspetta che il Fatto paghi quattrocento o quattromila blogger per commentare i fatti del giorno. È comunque curioso che la strategia d'attacco del FQ sia aumentare i blog, questi vecchi arnesi che evidentemente però fanno rete, fanno traffico, fanno scalare posizioni in classifiche a cui gli inserzionisti danno peso, e insomma a qualche punto della filiera il blog produce soldi, anche se il volenteroso blogger del Fatto Quodiano probabilmente quei soldi non li vedrà mai, nemmeno in percentuale. Lui comunque è contento di sopperire con la libera espressione del suo ingegno ai fondi per l'editoria che il FQ non percepisce, e un po' lo capisco.

Una cosa privata che vorrei salvare della Blogfest è la sensazione di disgusto fisico provata l'indomani mattina mentre sfogliavo la Repubblica, e a un certo punto mi trovo alla pagina dei commenti, con l'animo bendisposto a leggermi il mezzo lenzuolo di Scalfari, quello in alto a destra, esatto. E tuttavia, mentre proseguivo con la lettura, mi sembrava che qualcosa non tornasse: don Eugenio mi sembrava meno serio del solito, non citava nessun dato macroeconomico, addirittura si metteva a chiacchierare con Giuliano Ferrara, gli dava del tu, cosa esecrabile, addirittura lo chiamava "mio amico Giuliano", lodava "la sua audace e bella penna", ma quando mai, aspetta... ma non stavo leggendo il fondo di Eugenio Scalfari. L'avevo pur notato, in prima pagina, che non c'era nessun fondo di Eugenio Scalfari. Stavo leggendo... mio dio! Francesco Merlo.

Capite, non è tanto Merlo in sé. Merlo si può leggere, a volte è discutibile ma non è che sia disgustoso. Ma leggere Merlo credendo di leggere don Eugenio, come posso descrivere la sensazione perturbante, heimlich/unheimlich... è come scoprire che la biondina che state spiando nella cabina dello stabilimento balneare è vostra sorella ciccia coi brufoli, ecco. E qualcosa dentro di te in quel momento si ribella, nel mio caso il cappuccino.

Il rigurgito interiore che ne consegue apre la strada a due considerazioni. (1) Eugenio Scalfari, vorrei dirlo prima che sia un po' tardi, è come l'acqua corrente: ci accorgeremo di quanto era prezioso solo quando ce lo toglieranno. Fino a quel momento continueremo a snobbarlo, ma chi vuoi che lo legga ancora fino in fondo, ecc. E invece sapete una cosa? Io. Io continuo a leggerlo fino in fondo, va bene? Per me vale ancora la pena. No, non è molto brioso, no. Certo, sa scrivere meglio di molti fighetti che ho in mente io. Di sicuro non occupa metà pagina di quotidiano per conversare con un suo "amico" lasciando il lettore quasi al buco della serratura. In realtà l'editoriale di Scalfari c'entra poco con il genere-editoriale per come si è ridotto negli ultimi vent'anni, con le opinioni precotte di adesso. Scalfari ha questa mania per i dati, vuole sempre partire da dei dati o infilarli comunque da qualche parte, poi per forza non ci sta nelle cinquemila battute che sono più che larghe per quel che deve dire un Panebianco o un Ostellino o un Mieli o un Merlo (o un blogger). Scalfari alla sua età ci tiene ancora a far vedere che le sue osservazioni sono interessanti perché osservano cose concrete, non perché le fa lui che si chiama Eugenio Scalfari. Poi i suoi calcoli li avrà sbagliati cento, mille volte, ma appunto, sono calcoli: si possono sbagliare. Gli altri non sbaglieranno mai, al massimo un anno fa mettevano Neutrino Gelmini nella lista dei ministri migliori del governo – eh, ma sono opinioni, ognuno ha le sue, per esempio sapete alle mosche cosa piace. Volete invece sapere cosa manca ai quotidiani di adesso? Non certo i blogger, anzi, sono tutti lì che ronzano attorno e non vedono l'ora. Anche gratis. Secondo me mancano coraggiosi produttori di lenzuoli alla Scalfari, che prendano dei dati interessanti, non visibili a tutti, e li usino per costruire dei ragionamenti, anche sbagliati. Però ragionamenti, ipotesi, proposte. Non opinioni. Per le opinioni, davvero, i blog bastano, avanzano, sovrabbondano.

(2) Un'altra cosa di cui secondo me i quotidiani non hanno più bisogno è di quel genere letterario in cui un giornalista cerca di convincere Giuliano Ferrara a non essere così Giuliano Ferrara: a essere un po' meno Giuliano Ferrara, a essere Ferrara in un modo un po' più ragionevole. Perché davvero, son vent'anni ormai, è un po' come il genere della pastorella per gli stilnovisti: loro volevano convincere una fanciulla a rotolarsi nel fieno, voi volete convincere una baldracca delle gioie della castità, ma la volete piantare? Ma ci spiegate una buona volta in cosa consiste l'importanza, la centralità di Giuliano Ferrara nella storia contemporanea? Ma sul serio vi piace il suo stile ampolloso a cui andava torto il collo in terza liceo? Ma sul serio Ferrara può rappresentare una categoria, per cui se riuscissi a convincere lui avrei convinto, boh, cinquecento persone in tutt'Italia? Quanti ci sono che lo leggono ancora sul Foglio senza che li costringano, e perché? E cos'è questa singolare proprietà traslucida di Giuliano Ferrara, per cui se ammetto che è intelligente, improvvisamente sembro più intelligente anch'io? Ma quindi è davvero colpa mia se il più delle volte mi sembra un buffone?

Vorrei essere più chiaro di così. Cari amici di Repubblica: ogni volta che un vostro editorialista, invece di occupare le sue colonne spiegando cose interessanti, si mette a spiegare all'amico Ferrara che non dev'essere troppo Ferrara, altri cento lettori paganti si spostano al Fatto Quotidiano. E magari aprono anche un bel blog gratis, che comunque fa traffico eccetera. Fate un po' i vostri conti.
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Radio Ronf

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Guarda che qua il problema non è mica che tu sia fazioso, chi non lo è, e poi ti pagano per questo, no? Insomma, figurati.
Non è neanche per le balle che racconti, anche se boh, forse dovresti raccontarle un po' meglio, oppure no, tutto il contrario, dovresti spararle ancora più grosse, forse, ecco, sarebbe più divertente così.
E non è neanche una questione di auditel, cioè, davvero, figurati se a uno come te facciamo una questione di auditel. Ma no.
Il problema è che sei bolso.
Ma proprio bolso bolso.
Ma bolso in una maniera che non eri stato mai.
Cosa è successo, anche a te, maledizione.


Ho una teoria #69 (perché Ferrara è diventato così noioso?) si legge sull'Unità on line, e si commenta laggiù.

Lo ammetto: fino a qualche settimana fa ero abbastanza contento che Ferrara ritornasse in Rai. Non mi aspettavo certo che riutilizzasse i vecchi arnesi di scena di Radio Londra per fare del buon approfondimento, ma speravo finalmente un po’ di spettacolo, un po’ di scintille, che il buon Minzolini, per quanto fazioso, in questi mesi ci ha fatto mancare. E invece…

Lasciamo perdere i dati Auditel.
 Non credo che nessuno né in Rai né al Foglio si aspettasse di assorbire tutta l’audience del tg e di traghettarla placidamente fino ad Affari Tuoi. Certo, è sconfortante vedere quanti decidono di cambiare canale proprio quando comincia Ferrara e di tornare sull’Uno proprio quando se ne va – però qui la notizia dove sarebbe? Ferrara non è più il divo dell’infotainment televisivo che fu a cavallo tra anni ’80 e ’90. Tanto più che il format scelto per il ritorno è forse il meno eccitante della sua carriera:Radio Londra consisteva e consiste in un sermone di cinque-otto minuti. Certo, quegli otto minuti erano più che sufficienti alla redazione del Fatto di Enzo Biagi per confezionare un approfondimento di qualità, con interviste incrociate a fonti autorevoli e tabelle coi riferimenti ai dati statistici; tanto che all’anziano giornalista non restava che chiudere la striscia con una battuta finale. Sono passati più di dieci anni e Ferrara è ancora lì che usa la tv come pulpito per la predica: di grazia se ogni tanto fa partire un filmato o ci mostra una foto sgranata. Insomma, lo spettacolo si riduce a lui. Da questo punto di vista poi Ferrara non tradirebbe, pochi in Italia sanno stare in video come lui: l’animale televisivo c’è ancora, il tempo non lo ha affatto appannato, anzi: rughe e tartaro lo hanno reso se possibile ancora più monstrum, ancora più fotogenico. Ma nemmeno Gabriel Garko in tutto il suo splendore riuscirebbe a fare da ponte tra Minzolini e il gioco dei pacchi, se il suo format fosse “cinque minuti di come la penso”. Insomma, era prevedibile e previsto che Ferrara perdesse il derby con Striscia.

Meno prevedibile era che deludesse il suo pubblico più affezionato
, ovvero i tignosi di sinistra come me. Noi che leggevamo il Foglio per il gusto di farci andare la bile di traverso, noi che dopo l’undici settembre non ci perdevamo più una puntata di Diario di Guerra e poi di Otto e Mezzo... In seguito lo abbiamo un po’ perso di vista, ma pensavamo che l’elefante non avesse perso le zanne. Sapeva sempre farci incazzare al momento giusto, e noi di incazzarci abbiamo un evidente bisogno. Ora, in una fase così critica della Storia della repubblica, il suo ritorno alla Rai partiva con i migliori auspici: poche settimane prima Ferrara aveva promosso una manifestazione in mutande contro il perbenismo della sinistra. Altro che melassa minzoliniana: intellettuali di destra in mutande, questo era pane per i nostri denti. Quando però Radio Londra ha ripreso le trasmissioni, è stata delusione fin dalla prima serata. I reattori di Fukushima minacciavano di fondersi, e lui disse che col nucleare ci voleva attenzione. Tutto qui? Tutto qui.

Non è che in seguito non abbia dato qualche zampata.
 Il giorno dopo ebbe la meravigliosa faccia tosta di sostenere che era stato Berlusconi a vendere ai giornali le foto in cui passeggia in un giardino con cinque ragazze: proprio quelle foto sgranate per le quali Berlusconi aveva denunciato il fotografo Zappadu. Qualche giorno fa, attaccandosi a un refuso di stampa, ha accusato D’Alema di aver desiderato per l’Italia altri trenta milioni di stranieri, l’equivalente di un paio di serie invasioni barbariche. Ecco, lo spunto c’era, ma lui stesso era così poco convinto di quello che stava dicendo… Del resto, sono trovate da Giuliano Ferrara, queste? Non sono piuttosto trucchi da baraccone, roba da Feltri o da Sallusti? Però almeno sono divertenti, fanno alzare un sopracciglio. Più spesso Ferrara ci fa cascare le palpebre, specie quando se la prende coi giudici, una battaglia che oltre l’entourage berlusconiano non riesce davvero ad appassionare nessuno.  (Certo, per tremila euro a serata - quasi seicento euro al minuto - potrebbe anche impegnarsi di più).

Il peggio è quando cerca di riuscire rassicurante:
 e allora va tutto bene, madama la marchesa, la nostra strategia con Gheddafi (qualunque sia, ne abbiamo cambiate due o tre) è la più ragionevole, nessuna guerra è umanitaria (specie se la fanno i francesi per fregarci le commesse) noi italiani siamo brava gente e stiamo gestendo l’emergenza profughi nel modo migliore, bravo Berlusconi ma bravo anche Napolitano. L’errore forse sta qui. Ferrara ha preso sul serio il pulpito che gli hanno dato in prima serata sul primo canale: sa di non avere i numeri per reggere una sfida Auditel, ma vorrebbe comunque costruirsi un nuovo personaggio ragionevole, rassicurante, lontano dagli eccessi della gioventù, non super partes ma nemmeno troppo fazioso, il nuovo Vespa quando quello vecchio andrà in pensione (o prenderà gusto a presentare i varietà, e perché no dopotutto). Non è un calcolo sbagliato, specie alla sua età. Dopo tutto è da quando ha fondato il Foglio che Ferrara cerca di accreditarsi come intellettuale di riferimento per una destra moderna, liberale, berlusconiana ma con stile.

Il problema – sempre quello – è che questa destra non è quasi mai esistita: 
che i berlusconiani in tutti questi anni non sono mai passati dal Giornale al Foglio, ma piuttosto dal Sole 24 Ore a Libero; che malgrado le sbandate neocon e clericali, il Foglio a destra se lo sono sempre filati in ben pochi, così come sono ben pochi gli spettatori di destra che restano sull’Uno per guardarsi Radio Londra. Chi ha continuato per tutti questi anni a credere nell’Elefantone, a sopportare il lessico polveroso dei suoi editoriali e a guardarsi Otto e Mezzo, siamo noi autolesionisti di sinistra. Ma anche noi, di un cardinale ragionevole che elogia il governo senza mai attaccare l’opposizione non sappiamo che farcene. Noi vorremmo il vecchio matto bilioso e fazioso, che rovista nella spazzatura e organizza duelli tra Sgarbi e D’Agostino.

Noi non ci siamo dimenticati il vero fenomeno-Ferrara, quello che nasce facendo tv innovativa su Rai3, poi passa a Rai2, comincia a sentirsi oppresso dall'egemonia di sinistra e s'incanaglisce, gira spot in cui rovista tra la spazzatura, conduce talk-show sul sesso, fa spettacolo del sé stesso panzone. Per noi il vero Ferrara resta quello. Non ci interessa che nel frattempo sia diventato un intellettuale, che abbia scritto libri (ma ne ha scritti? Lascerà qualcosa di culturalmente rilevante, Ferrara?) Nel bene e nel male F. è una creatura televisiva, non berlusconiana, ma guglielmiana (ma quanto ci ha dato la rai di Guglielmi, in termini di immaginario popolare, da Chi l'ha visto a Quelli che il calcio?)

I meno giovani si ricorderanno lo sbigottimento di Benigni
 in uno sketch del '94: "Berlusconi presidente? E magari Ferrara ministro?" La sorpresa di Benigni era quella di tutti noi, maggiore di quella che abbiamo provato quindici anni dopo, ormai assuefatti, di fronte a una Carfagna ministro: la strada alla Carfagna in effetti l'ha spianata lui, prima creatura televisiva a ottenere la responsabilità di un dicastero. Una volta caduto il primo governo Berlusconi ebbe tutto l'agio e lo spazio per improvvisarsi intellettuale. Non c'è niente di male in tutto questo. Magari c'è qualcosa di male in noi, che ci siamo cascati. Ferrara maître à penser, Ferrara teorico del centrodestra, Ferrara intellettuale di riferimento... Ferrara è e dovrebbe rimanere un meraviglioso basso da operetta televisiva, uno che riempie il video senza bisogno di trucco e parrucco. Alla Rai dovrebbe dare spettacolo, fare incazzare noi, che siamo il suo vero pubblico: non i berlusconiani. Loro a quell'ora hanno Striscia. 
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L'elefante più crudele

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Heautontimorumenos

"Non c'è reazionario più implacabile dell'innovatore fallito, non c'è nemico degli elefanti selvatici più crudele dell'elefante addomesticato" (Brecht, mi pare, su Galilei).

A volte ancora mi domando, ed è una domanza oziosa come tante altre: cos'è Giuliano Ferrara? Che forma avrebbe, Giuliano Ferrara, se lo si potesse togliere dai contenitori che ha riempito, dalle nicchie che ha trovato vuote?

Adesso, per esempio riempirà una mutanda – e sappiamo che la cosa umanamente gli costerà – non gli piace esibire le proprie nudità, soffrì sinceramente l'estate che le sue chiappe chiare finirono sui giornaletti. Ma adesso il capo ha bisogno di una mutanda e la mutanda gli toccherà riempire. Lo farà, ovviamente, contro qualcuno, in questo caso i perbenisti del Palasharp e della manifestazione di sabato prossimo. Le belle anime che non amano la vita, non amano i liberi scambi di sesso e soldi e poltrone. “Non abbiamo orrore dello scambio e del denaro, ci fa senso il vostro disgusto per la bigiotteria galante di Arcore”, e quindi tutti in mutande, hanno già aderito Sallusti e Iva Zanicchi, e Pietrangelo Buttafuoco “un po' il nostro Saviano”, peccato non ci sia Banfi, poteva essere il vostro Marlon Brando.

E sì, è lo stesso Ferrara che dopodomani magari si infilerà un cilicio e si digiunerà per espiare i peccati di una generazione di scopatori abortisti. O non lo sapete che il sesso “da quando ha smesso di giocare la sua libertà con le interdizioni della natura e della cultura, da quando si è stupidamente liberato e ha perso la sua aura casta e peccaminosa, è diventato sommamente ridicolo e sempre meno efficace rispetto allo scopo, che è di fare figli in giovane età coltivando attraverso il piacere la carità e l'amore di sé che sono l'essenza del genere umano e la sua anima razionale o spirituale”... Sì, va bene, ma che c'entra, un conto è la gente normale e meccanica che dovrebbe fare sesso esclusivamente per riprodursi (“Il preservativo, la pillola e l'aborto hanno trasferito il sesso in palestra, sostituendo il labirinto del piacere, se non il dono luminoso dell'amore, con il trade mill della fitness”), un conto è il capo, potrà ben disporre come vuole delle sue tartarughine, delle sue bustarelle, delle sue poltroncine di ministero? E se le scambia per un po' di sesso, vogliamo fare i moralisti? No, Ferrara oggi ha in orrore il moralismo. Ieri invece non gli dispiaceva. Cos'è cambiato.

Potremmo sostenere, con qualche ragione, che per Ferrara il moralismo è ok finché non riguarda Silvio Berlusconi. Ma è una cattiveria inutile, io ho il sospetto che a Ferrara non freghi molto nemmeno di Berlusconi – sì, è il suo capo, sì, Silvio paga – ma non è mai stato un problema di soldi, né di potere. Ferrara è stato anche ministro ma fisicamente non ha retto lo stress, e i grossi soldi li fece al tempo in cui in Rai si strappavano contratti miliardari. In un certo senso Ferrara è in pensione da più di dieci anni, il Foglio è uno di quei negozietti a perdere che aprivano le professoresse in pensione, le baby pensionate del servizio pubblico; l'investimento iniziale ce lo mette il marito, così la signora sta un po' fuori di casa mentre lui si porta dentro le escort. Questo per dire che Ferrara non è del manipolo di disperati che non hanno altra scelta che seguire Berlusconi fino alla fine. Non è nemmeno di quel gruppo di professionisti delusi, che salirono sul carro B sinceramente convinti di poter dare il loro apporto nella rivoluzione liberale, giornalisti avvocati economisti che che dopo una dozzina d'anni si ritrovano scavalcati da veline letterine meteorine, e la cosa li scandalizza. In realtà Ferrara potrebbe mollare il capo in qualsiasi momento; varie volte ha minacciato di farlo; qualche volta sembrava davvero che lo avesse fatto. Se alla fine non ci riesce mai, non è per fedeltà o per convenienza. È solo per far rabbia a noi.

Tutto qui? Sì, davvero, probabilmente è tutto qui. Ferrara è solo un calco in negativo delle nostre passioni. Nel novembre del 2001 – le ceneri del World Trade Center erano ancora calde – il movimento che aveva sperimentato la repressione di Genova sfilò per la prima volta a Roma contro la guerra di Bush. Nei mesi successivi ci sarebbero state altre oceaniche marce ad Assisi e di nuovo a Roma. Ferrara era a piazza del Popolo, con alcuni suoi amici e un po' di bandierine di Israele. Ma gliene è mai fregato veramente qualcosa di Israele, a Giuliano Ferrara? Non è la stella di David un po' come la mutanda, una cosa che ci agita davanti perché si è accorto che ci dà fastidio? Ai tempi in cui ci piaceva far sesso senza procreare, lui indossava il cilicio e ci esortava a smettere quella ginnastica impura. Ora, di fronte alla ginnastica un po' ossessiva di SB, ci riscopriamo un po' bacchettoni, e Ferrara è pronto a mettersi in mutande. Quindi alla fine cos'è il sesso per Ferrara? Non si sa, è una domanda inutile: non avendo alcuna forma, a Ferrara non resta che riempire quelle che trova, e sono sempre i calchi in negativo delle nostre. In fondo non ha senso neanche rimproverargli la scarsa coerenza, lui non fa che intonare il controcanto alla nostra. Antiabortista quando facevamo quadrato sulla 194; pro-life quando chiedevamo rispetto per la signora Englaro; clericale ateo tra gli anticlericali, sionista gentile tra gli antisionisti, libertino asessuato tra i bacchettoni, Ferrara in realtà è sempre in mezzo a noi. Non c'entra molto con la stampa di destra, quella vera, con Feltri Sallusti o perfino Signorini. In realtà il Foglio è la cosa più radical chic che si possa leggere nelle edicole italiane, solo che va letto in negativo.

In un romanzo per il resto non molto riuscito, Giancarlo De Cataldo immagina il disappunto di un opinionista di assalto ex comunista nei giorni della caduta di Craxi. “Attraversato il pensiero di aver commesso, nell'abbandonare il partito, una colossale castroneria, valutò i possibili esiti di un cambio di squadra. Poteva prendersi una mesata sabbatica, cominciare a limare i toni dei suoi editoriali, e poi lanciare in grande stile l'operazione riallineamento. “Ho sbagliato, compagni, non dovevo andarmene, eccomi qua, sono tornato”. I compagni erano abbastanza idioti da credere al pentimento. Ma anche anche abbastanza astiosi da fargliela pagare a caro prezzo. Dunque non aveva altra scelta che continuare a combattere”. È come se Ferrara continuasse a scontare, con gli anni, un errore di calcolo: qualsiasi cosa sarebbe stata meno umiliante di ammettere i suoi errori e tornare indietro. Qualsiasi cosa. E così, mentre Gianfranco Fini diventa un eroe della sinistra, Giuliano Ferrara si ritrova al Teatro del Verme in mutande, un autodafè che nessuno gli ha chiesto, l'ennesima umiliazione che si infligge da solo. Come quando tirò le uova su Benigni, non perché gli dispiacesse Benigni, ma tutti a sinistra lo amavano e in mezzo a tanta grigia unanimità ci voleva pure qualcuno nella parte del severo censore; Ferrara è così: se c'è bisogno del cattivo, del fariseo, del basso del melodramma, lui si sobbarca, senza risparmio: mette in gioco l'unico corpo che ha, ed è un corpo complicato, difficile da gestire. Mettersi in mutande gli costerà qualcosa, ma sa che ne vale la pena, che anche stavolta riuscirà a farci voltare la testa. Come fa a saperlo – è facile: ne soffrirà per primo lui, e lui non ha mai smesso di essere uno di noi. L'elefante più crudele di tutti.
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Gli aborti non sporcano

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Venite a Riva? Io ci sarò tra sabato e domenica. Sono quello basso con la barba vicino a Enzo. Vi siete ricordati di votare (per me)?

Neologismi da salvare (4): Benaltrismo

Neologismo fino a un certo punto – gli Annali del Lessico Contemporaneo lo attestano nel 1995 (se qualcuno conosce il coniatore, l'autore insomma, per favore, segnalatemelo). Uno di quei figli appena nati di amici che ti volti un attimo e vanno già al liceo. “Benaltrismo” ha anche una buona pagina di wiki, sui vocabolari più recenti di sicuro c'è, ed è una delle migliori prove della vitalità della lingua italiana. Perché a fraintendere gli anglismi (“quoto”) son buoni tutti, e a ripiegare sulle trivialità dialettali (“bimbominchia”) pure. Ma benaltrismo è un'invenzione tutta italiana, oltre che un contributo del lessico giornalistico italiano al mondo: posso sbagliarmi, ma direi che a quindici anni suonati resta ancora un termine intraducibile. Non so se vi rendete conto, ma per esprimere lo stesso concetto gli anglofoni sono costretti a laboriosi giri di parole, ah ah ah! Il petto mi si gonfia come quando un personaggio di Underworld dice a un altro: Ehi, lo sai che gli italiani hanno una parola per questa roba? (in quel caso era dietrologia). Sì, non produciamo più divine Commedie e nemmeno Gattopardi, ma riusciamo ancora a inventare qualche buona parola ogni tanto.

Benaltrismo è, tra le altre cose, di facile comprensione. È un benaltrista colui che, di fronte a un determinato problema, afferma che non vale la pena risolverlo e nemmeno parlarne, perché... i problemi sono “ben altri”. Ciò che rende stuzzicante la cosa è che in fondo siamo stati tutti benaltristi qualche volta: e magari quella volta avevamo pure ragione. In quella matassa di complicazioni che è la vita, saper riconoscere quali nodi vanno districati per primi è una dote tutt'altro che secondaria. Tutto questo mentre la sfera dell'informazione prende a girare sempre più vorticosamente intorno a un calendario di emergenze che non si sa bene chi stia dettando: c'è il periodo delle violenze sulle donne e diventiamo tutti esperti di violenza sulle donne, poi comincia la settimana degli zingari ed eccoci tutti zingarologi, e sembra proprio che non si possa procedere finché non avremo trovato una soluzione per il problema degli zingari. Poi cominciano le sfilate. A volte il benaltrista è semplicemente qualcuno che insiste a difendere le proprie priorità, la propria visione del mondo, quei due o tre problemi che considera davvero emergenze.

Ma a volte, naturalmente, è solo un trombone che del mondo si è abbondantemente stancato; ma siccome lo pagano ancora ha individuato 2-3 argomenti inossidabili (es. “Berlusconi ladro”) sui quali ripiegare quando, sempre più spesso, si ritrova senza nulla da dire (“sì vabbè che Fini ha i suoi scheletri nei suoi armadi, però Berlusconi ladro”). Non potrei trovare un esempio migliore di questo atteggiamento dell'ultimo detto memorabile di Giuliano Ferrara, che nella settimana in cui eravamo appunto tutti zingarologi, ha voluto ribadire che i problemi sono ben altri, e che lui resta un convinto abortologo, scrivendo:

Si può abortire un bambino al mattino e piangere sul destino degli zingari la sera?

Questo esempio funziona anche perché illustra molto bene, a mio parere, come mai l'argomento “aborto” sia diventato così gettonato negli ultimi, diciamo, cinquant'anni: prima non è che se lo filassero in molti. Abortire era un triste affare di soldi e ferri da calza, e i Papi avevano di meglio da pensare: se leggete vecchie encicliche ci trovate transustanziazioni, immacolate concezioni, misteri trinitari, ma che fine facessero gli embrioni non era chiaro. Per qualche periodo si parlò di limbo, ma era più un'indiscrezione che un dogma di fede. Tutta questa enfasi sul diritto alla vita è, se la misuriamo coi ritmi di una comunità millenaria, una relativa novità. A un certo punto preti e similpreti si sono accorti che c'era un genocidio, milioni e miliardi di bambini uccisi negli uteri, e vi si sono tuffati con tutto il loro zelo. Che cos'ha di così affascinante la causa degli aborti? Ci sono secondo me tre aspetti che rendono l'aborto l'arma finale del benaltrismo:

1) L'atto di fede è relativamente leggero. Credere nella trinità è complicato e faticoso, credere nell'immacolata concezione e nella sua beata assunzione ti potrebbe anche esporre al ridicolo in società. Viceversa, credere che un embrione sia vivo nell'attimo del concepimento non è né complicato né ridicolo. Non è neanche necessario offendere la scienza: il confine tra “vita” e “non ancora vita” è un problema linguistico, quindi speculativo, quindi siamo liberi di discuterne, quindi non avremo difficoltà a trovare qualcuno che ci dia ragione. Uno come Giuliano Ferrara, alla sua età, non è che può mettersi immediatamente a credere nella transustanziazione come se fosse la cosa più plausibile del mondo: ma all'embrione sì, non è mai troppo tardi per ravvedersi e vedere la vita nell'embrione.

2) Una volta che hai abbracciato la non troppo scandalosa verità (l'embrione è vita!), sei in possesso dell'ordigno benaltrista di fine-di-mondo. Improvvisamente ti svegli e, dove la sera prima c'erano banalissimi consultori e ospedali, tu vedi un genocidio. Legalizzato! E tu non puoi più fare finta di niente. Di conseguenza, non hai più bisogno di preoccuparti di nient'altro. Cioè, stiamo scherzando? Riscaldamento globale? Crisi energetica? Zingari? Politici corrotti? Imprenditori concussi? Mafia e camorre? Ma sono le normali asperità della vita, il problema è che ci sono milioni di individui a cui la Vita stessa viene negata! Ogni giorno! Quando abbracci la causa degli aborti, non hai più bisogno di preoccuparti di nessun'altra causa al mondo. Tanto più che...

3) Gli aborti non sporcano. Questo è determinante. Non c'è causa che, una volta abbracciata, non lasci brutte tracce sulle mani e altrove. Molte, oggettivamente, puzzano. Prendi gli zingari. È difficile stare dalla loro parte. È difficile sposare le cause degli stranieri, dei poveri, dei malati, dei drogati, dei giovinastri. È tutta gente che poi ti tocca andare a trovare, gente che si sentirà tradita se dopo un po' li trascuri, gente che più di solidarietà chiede monetine, gente che ha usanze e odori che non riuscirai mai a condividere. Ma gli aborti, gli aborti sono fantastici. Non fai in tempo a credere in loro, che essi non esistono già più. La cosa che li rende meravigliosi è che proprio in quanto aborti, essi non ci sono. Non puzzano. Non hanno abitudini imbarazzanti. Non fanno chiassose feste in piazza a cui t'invitano mentre tu vorresti stare a casa a leggere Novalis. Uno zingaro potrà lamentarsi della tua solidarietà pelosa. Un nero prima o poi cercherà di sposarsi tua figlia. Ma gli aborti non disturberanno mai chi li difende. Nessun aborto si alzerà mai per dire che preferisce essere abortito piuttosto di evolversi in Joseph Ratzinger o Giuliano Ferrara.

Insomma, capite la bella invenzione? Un piccolo atto di fede e improvvisamente nel tuo mondo esistono milioni, miliardi di individui che tu puoi difendere gratis. Neanche due spicci per levarteli di torno al semaforo: gratis. Gli aborti, se non esistessero, bisognerebbe inventarli. E in fondo è andata proprio così: a un certo punto ce li siamo inventati.
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Avanzi di avanzi di Ersatz

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(Loro ogni tre anni rifanno le stesse polemiche, io ripubblico la stessa roba. Non mi posso mica scomodare più di così, scusate).

Invece quel che penso dei nuovi articoli del Foglio sui blog è… ma no, ma che due palle, scusate. Ma siam nel 2007, e ancora esiste il Foglio? Sul serio? Ma perché?

Chiudete il Foglio (e aprite le finestre)

Lo so anch’io che esiste, perché ne ho visto una copia. Un mese fa, in biblioteca. Sono sicuro che è stato un mese fa, perché il prestito mi è appena scaduto. E dunque un mese fa sull’espositore ho visto la prima pagina del Foglio, molto elegante come al solito. Sei colonne sull’omicidio di Garlasco. Il quotidiano intelligente. Cioè, pensa se era un cretino.

Ma non lo voglio neanche criticare, il Foglio, perché si criticano le cose che si conoscono e io da un pezzo non lo prendo neanche in mano. Mi pongo semplicemente la domanda: perché esiste, il Foglio? Serve ancora a qualcosa? A qualcuno? Me lo chiedo tutti gli anni, e tutti gli anni la risposta è più difficile.

Se poi qualcuno ha delle critiche da farmi in quanto rappresentante della categoria dei blog, io son qui, son pronto. Ma date soltanto un’occhiatina al piedistallo da cui le fate, vi conviene. Mi accusate di non fare giornalismo? In effetti non ne faccio. Non fornisco informazioni di prima mano, mai. Non ho neanche mai preteso di farlo. Ma voi che scrivete sul… Foglio?
Mi accusate di essere autoreferenziale? Beh, certe volte sarò pure autoreferenziale. Ma dovete proprio scrivermelo dalle colonne del… Foglio?
Mi accusate di essere inutile? Va bene, ma spiegatemi una buona volta in cosa consiste l’utilità vostra. A parte naturalmente il gusto di spremere soldi di finanziamento pubblico, con un patetico espediente, per stampare tutti giorni un sacco di carta che resta per lo più invenduta. Ma è un giornale per la classe dirigente, dicono. Ma per favore. Ce li voglio vedere, i padroncini, a decifrare Ferrara col DeMauroParavia a mano. La classe dirigente legge Libero, è questa l’amara verità. Poi ci sarà qualcuno che sfoglia il Financial Times per darsi un tono. Il Foglio è rimasto in mezzo, tragicamente fuori target.

La verità è che Il Foglio dovrebbe parlare soltanto bene dei blog. Ogni volta che un blog italiano fa un colpaccio, la redazione del Foglio dovrebbe titolare a quattro colonne: “noi lo sapevamo. Noi eravamo un blog quando ancora internet non c’era”. Perché è così. Quando io venivo in biblioteca, nel secolo scorso, a scaricare la posta da un 46k, il Foglio era già al suo posto nel raccoglitore di quotidiani, ed era già cazzeggio autoreferenziale. I tormentoni, i libri e i cantautori preferiti, i flame, era già tutto pronto. Mancava il supporto elettronico, ma i contenuti c’erano al 100%.
Non che io lo toccassi volentieri, ma in seguito l'ho letto molto, di seconda mano, proprio a causa dei blog. Un sacco di blog sbrodolavano adorazione per il Foglio, citando interi articoli. Se l’elefante aveva azzeccato un editoriale, sicuro che me lo copincollavano almeno un par di volte.

Adesso invece di Ferrara nessuno parla più, se non per spernacchiarlo, tanto che alla fine quatto quatto s’è fatto un blog pure lui, e che dire? Bravo Ferrara! E di che parla? Non è mica autoreferenziale, lui, macchè. Lui fa una polemica con Giampiero Mughini sul sesso. È chiaro? Vale la pena di ripetere? Una polemica, nel 2007, con Mughini, nel 2007, sul sesso.

Poi uno si lamenta perché Grillo usa male il blog? Ferrara lo usa per polemizzare con Mughini! Se Grillo attacca i buoi all'automobile, Ferrara ci attacca un'incudine da una tonnellata e poi parte in discesa. Ma scusa, se vuoi dire una cosa a Giampiero, invitalo nel tuo salotto tv! Oppure invitati tu a Controcampo, che bisogno c'è di annoiare i lettori con un lenzuolo sul... sesso? Perché tu saresti un'autorità sul sesso? Da quando? E in che modo è potuto succedere?

Scrivi che in occidente è diventato ridicolo. Proprio così. “Oggi il sesso non è libero, è soltanto ridicolo”. Parola di Ferrara. Ma quanto ne fai per dirlo? Ma sei sicuro che il sesso che fai tu sia rappresentativo della media occidentale? Perché a me qualche dubbio a volta viene, e sono un trentenne normodotato. Tu invece sei un vecchio obeso: non hai proprio nessunissimo altro argomento su cui pontificare? Se ho voglia di farmi un’idea sul sesso occidentale vado da pornoromantica. Da Melissa P. Vado in chat. C’è un migliaio di posti dove potrei andare, e in nessuno di questi posti mi piacerebbe trovarci tu o Mughini che vi scambiate dei pareri nel vostro lessico maldestro. Perché oltre a non essere due amatori rappresentativi (e non c'è nulla di male), restate anche due mediocri prosatori che continuano a sparare bordate di lessico stravagante nella speranza che qualcuno non se ne accorga e non si annoi. Io di solito manco vi seguo: scrollo col mouse e mi fermo quando vedo accrocchi di lettere strane. Molto spesso è tedesco, lingua che so poco – e voi meno di me.
Da noi si parlicchia, si freudeggia, si danza intorno a un sostituto, a un Ersatz

Sul serio, non vorrei essere nel lettore della classe dirigente che si mette a cercare Ersatz su google. Credo che ci metta meno tempo a prenotare un’escort, con la quale poi parlicchierà e freudeggierà a piacimento. Ma mangiatela, l’Ersatz, e se non va giù, condiscila con la mia Weltanschauung, toh, valà che ti piace.

Oscenità a parte: se anche Ferrara può avere un blog, cosa aspettano i pecoroni al seguito? Ci vuole così tanto coraggio a chiudere la baracca e ad aprirsi, finalmente, un bel multiblog, parolaio e autoreferenziale? Ci avete pensato a quanti soldi (nostri) e quanta carta risparmiata? E magari verrei a vederlo, sul serio, ci verrei! Mentre adesso il vostro lenzuolo in pdf non lo apro neanche per sbaglio, il pdf è una cosa che mi fa senso, puzza di concorsoni ministeriali e pecette della CIA, pussa via! Ma come si fa a mettere on line un pdf, nel 2007? Scusate l’insistenza sul calendario, eh, ma in dieci anni io ho cambiato almeno tre sistemi operativi, e sono uno tirchio. Voi invece siete ancora al pdf, è una cosa che dà da pensare.

Poi magari siete gli stessi che “dopo l’11 settembre nulla sarà come prima”: eh, magari. Voi, per esempio, anche dopo l’11/9/2001, siete rimasti al 1996. E si vede, si vede sempre più. Dieci anni fanno una certa foschia - state per scomparire dietro l'orizzonte. Vi volete dare una mossa? Qua da noi c’è tutta la fuffa che vi serve, tutta l’acrimonia che vi manca, tutto lo spirito che avete smarrito da un pezzo. Aver perso un tram è un peccato, ma non può diventare una vocazione. Potete prendere sempre quello successivo, ne passano continuamente. Insomma, in strada, su. Seguite Ferrara, seguite Camillo, seguite chiunque, vi aspettiamo.
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Un uomo mosaico

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Cartoncini

Tornando a casa (chiedo scusa a tutti quelli che non ho fatto in tempo a salutare) ci siamo fermati a un outlet e dopo 5 minuti credevo di morire, quando ho avuto una visione: nel riflesso di una vetrina scintillava la decalcomania WiFi. Sono andato a chiedere come funzionava e mi hanno detto che per abbonarmi dovevo fare una tessera. Io gli ho spiegato che non volevo abbonarmi, quanto semplicemente attaccarmi alla rete per mezz'ora e poi non mi avrebbero visti mai più, proprio mai più nella vita, ma loro mi hanno spiegato che anche in questo caso mi avrebbero fatto la tessera.

Io le tessere non le faccio volentieri, per vari motivi. Il primo è che mi sformano il portafoglio. Dici: e che sarà mai un cartoncino; bene, adesso apro e controllo: due biblioteche (mica tante). Un sindacato, il solito. Un cinema che non ci vado vai, ma la volta che mi capita sta a vedere che la lascio a casa; no, la tessera è sempre qui vicina a me. La palestra. Due videonoleggi. Con questa ci caricavo le fotocopie in facoltà, mi fa sentire giovane. La tessera sanitaria nazionale. La tessera Arci, per entrare al Mattatoio e poco più. La tessera di un kebab di Modena, ogni dieci kebab ti regalano un kebab. La tessera di un supermercato per non fare la fila alle casse. La tessera di una catena di elettrodomestici, ebbene sì, raccolgo i punti... e poi cosa c'è qui sotto... dio mio, non ci credo, ho ancora nel portafoglio la dichiarazione alla volontarietà di donazione di organi e tessuti. Devo essere l'unico in Italia (si era appiccicata a quella dei kebab). Queste sono le tessere su cui mi siedo abitualmente. Poi ci sono le altre, quelle che sono arcisicuro che non userò mai, eppure mi hanno costretto a farle, e adesso giacciono in qualche cassetto sotto a pile di scorta, viti e bulloni che potrebbero tornare utili, biglietti di Natale, santini, preservativi. Il secondo motivo per cui odio le tessere è che sono molto restio a buttarle via, sicché ogni tessera finisce nel grande mosaico del mio disordine spaziale e mentale.

Il terzo motivo per cui odio le tessere è che sopra c'è scritto il mio indirizzo, e che dopo qualche settimana di solito mi arriva a casa un foglio a colori che finirebbe immediatamente nel cestino della carta riciclata se non fosse avviluppato di cellophane, e il tempo che perdo ad aprire il cellophane mi serve tutto a maledirvi, o Signori delle Tessere. Il quarto motivo è che non mi piace il discorso che c'è dietro a molte tessere che faccio. Quando entro in un locale, o in un negozio, o in un cinema, io preferirei sentirmi solo un cliente; ma agli esercenti non basta mai, loro vogliono farmi sentire parte di una comunità, il che, francamente... fino a qualche anno fa pensavo che si trattasse di una particolarità della mia regione, una specie di retaggio sovietico, e mi faceva mancare l'aria; allora mi sono messo a frequentare ragazze di regioni più capitaliste. Così è successo una volta in una regione particolarmente capitalista di entrare in un negozio di camicie; e dopo mezz'ora mi stavano chiedendo l'indirizzo di casa per ricevere la loro newsletter di camicie... insieme alla tessera, ovviamente. Va bene, adesso si chiama “card” e non fa più venire in mente i razionamenti annonari, ma il concetto è il medesimo. A quel punto ho capito che la tessera era trasversale, né di sinistra né di destra, piuttosto al crocicchio in cui il veterocomunitarismo incontrava il turbocapitalismo e insieme in maniche di camicia firmata andavano a bersi una vodka nel circolo arci di prossimità: uniti solo in questo, nella condivisione dei miei dati più o meno sensibili. Esercenti, banchieri, assessori, espiantatori di organi, birrai e cinefili, tutti vogliono il mio indirizzo, tutti hanno un cartoncino per me.

Tutti tranne Veltroni.

Ecco, lui non solo non era riuscito a piazzarmi una tessera del suo Partito (se per questo, neanche i suoi predecessori), ma non ci aveva nemmeno provato. Non solo, se ne vantava anche pubblicamente: faccio un partito senza tessere, diceva, un partito leggero. E devo dire che questa leggerezza non era priva di un suo fascino (specie se paragonata all'immagine di abbandono e consunzione del mio povero portafogli sformato). Però, insomma, dire “partito senza tessere” è un po' come dire “automobile senza ammortizzatori”: i casi sono due; o sei un genio che hai capito come inibire le sospensioni senza tutte quelle componenti che appesantiscono il veicolo, o sei un bambino a cui nessuno ha mai spiegato a cosa servono quegli affari che sono, sì, pesanti, ma necessari. Ma insomma da dove veniva l'idea? Pare che a cominciare a parlare di “partito all'americana, senza tessere” sia stato Giuliano Ferrara. A parte che i partiti americani le tessere le fanno (se vuoi ti personalizzano pure la Mastercard) ma aspettarsi buoni consigli da Ferrara sul Pd non è un po' come chiedere a Erode un parere illuminato sulla puericultura? Sì, però c'è sempre qualcuno che ci casca.

Metti Adinolfi – questo pezzo in effetti è nato da una costola di quello di venerdì, sempre stimolato dalla concezione un po' troppo internettistica che Adinolfi ha di Obama. Insomma, da come scrive sembra convinto che il Partito Democratico americano sia una community di non-tesserati che ogni tanto vanno a congresso più per stringersi la mano che per ratificare quello che hanno già taggato su facebook. Scherzo, eh, ma fino a un certo punto. Io capisco che Adinolfi abbia dei buoni motivi per diffidare del tesseramento, così come lo praticava il suo vecchio partito che, se non erro, era la DC. I Signori delle Tessere esistono: le logiche clientelari esistevano nei DS e sopravvivono alla grande nel PD; e sono responsabili dei brogli che quasi sicuramente sono stati commessi in Calabria e altrove. Tutto vero. Quello che non capisco è la soluzione proposta da Adinolfi o Ferrara: abolire le tessere. Così non ci saranno più brogli? Non ci saranno più logiche clientelari? Quindi era così facile, bastava rinunciare al cartoncino?

Ma scusate, è come togliere i limiti di velocità perché non li rispetta nessuno – e nel frattempo pretendere che la gente rallenti. Mi dite che gli spogli nei circoli calabresi non sono stati limpidi? Vi credo sulla parola. Ma come avete fatto a capirlo? Facile: i tesserati sono risultati più degli elettori. Bene, quindi grazie alle tessere avete capito che ci sono stati dei brogli. Ma se abolite le tessere, la prossima volta come farete a capirlo? La tessera è uno strumento, niente di più. Magari non funziona tanto bene, ma voi non state proponendo di sostituirla con uno strumento più efficace. Voi state pensando di eliminarla e basta: pensate che questo possa impensierire per più di un minuto i famigerati Signori delle Tessere? Secondo me gli semplificate la vita.

A sentirli sembra ovvio che la tessera sia roba vecchia, novecentesca, mentre nel Duemila la gente fa tutto su internet: acquista i viaggi on line, compra le azioni on line, seleziona la classe dirigente on line. Ecco, lo spiegassero ai miei librai, ai miei camiciai, ai miei negozianti, che insistono per ficcarmi in tasca tutti quei cartoncini – ahò, e piantatela, non avete letto Adinolfi? Siete vecchi, vecchi, siete roba Novecento, come i cassettoni della nonna.

“Il 25 ottobre”, scrive, “il popolo del Pd, simpatizzanti ed elettori a cui non si deve più chiedere di pagare una tessera, sceglierà il suo segretario”. Ho ormai maturato una sufficiente esperienza di primarie per sapere cosa mi attende il 25: per esempio so che mi toccherà sbors... ehm, “offrire” qualche euro. La cosa non mi scandalizza: oltre all'occasione di autofinanziamento, è anche l'unica misura che viene effettivamente presa contro abusi e infiltrazioni. È anche probabile che mi chiedano qualche dato personale, tra cui l'indirizzo e mail. Se non l'hanno già – qualcuno glielo deve aver passato, altrimenti non si spiega come fece Veltroni a mandarmi la convocazione per la manifestazione dell'anno scorso. Riepilogando: mi chiedono soldi e mi prendono i dati, con i quali mi manderanno poi le comunicazioni che riterranno utili, però non mi fanno il cartoncino, perché altrimenti sarebbero ancora un Partito Novecento: e invece sono nel Duemila, il millennio in cui dire “abbiamo una mailing list di millantamila nominativi” suona meglio di “abbiamo millantamila tesserati”.

La cosa curiosa è che io, quel cartoncino, lo prenderei. E che diamine, in fondo è solo un cartoncino. In tasca ne ho già una dozzina, di cui uno per gli sconti sul kebab, pensate davvero che sia un problema mettermi quello del PD? Magari se me lo mettessi in tasca mi farebbe sentire un po' più responsabile, un po' più militante. Magari potrebbe risultare una motivazione in più per farmi vedere al circolo (“mi sono tesserato e non ci vado mai...”) e per votare. Insomma io non trovo niente di scandaloso se Bersani e i suoi in futuro otterranno di fare primarie solo coi tesserati: significa semplicemente che chi vorrà votare ritirerà il cartoncino, e amen. Le regioni in cui vige il clientelismo non ne guariranno improvvisamente – in compenso le infiltrazioni saranno un po' più difficili. Ma in generale la differenza sarà molto più sottile di quanto non sembriate credere: oltre a prendere i miei dati e i miei soldini mi rifilerete un cartoncino, tutto qui. Sarà più sottile di quello della palestra e magari mi procurerà meno sconti di quello della libreria, ma non per questo mi precipiterà nel Secolo Scorso. E soprattutto la tessera mi darà una possibilità di iterazione fisica ineguagliabile su Internet: la potrò stracciare, in determinati casi, come per esempio quando i miei deputati non si faranno trovare nel momento in cui c'è da respingere lo scudo fiscale. Certo, su Facebook posso coprirvi di tutte le parolacce che voglio, ma la tessera, stracciare la tessera... vuoi mettere la soddisfazione?
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Ite retro

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Piccolo testamento

Il qui presente, nel pieno benché effimero possesso delle proprie dignitose facoltà mentali,
qualora un incidente o una patologia lo costringessero in un letto, assistito da costosi macchinari da cui dipenderebbe la sua vita, in uno stato d’incoscienza protratto per tre anni almeno,

chiede

– che non si dia risalto mediatico alla cosa: la gente nasce e muore tutti i giorni;
– che i politici restino a distanza: sarebbe un Paese migliore se le leggi non si facessero pensando sempre al caso particolare;
– che gli opinionisti si tengano le loro opinioni: grazie, ho già le mie (in particolare, sarebbe carino da parte di Giuliano Ferrara lasciarmi morire in pace, visto che è una vita che mi affligge con opinioni non richieste);
– che i cantanti facciano i cantanti. O vogliono dire una preghiera? Va bene, ma in silenzio, non in prima pagina.
– che i preti facciano i preti – che pensino cioè a consolare vedove e orfani, e non a inventarsi bislacche etiche pro-life che, per quanto ho potuto appurare, dal Vangelo non risultano. E io il Vangelo un po’ l’ho letto, Santi Padri. Comincia con un vecchio Santo che chiede di morire; prosegue con un uomo, figlio di Dio, che a un certo punto decide di morire. Proprio così: il padre gli lascia la libertà di scegliere, e lui decide. Quando un amico lo prende in disparte per dissuaderlo, lui gli risponde: Vade retro Satana. Non so se mi sono spiegato: Vade Retro Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. Pecco certo di superbia nel paragonare il mio piccolo sacrificio a quello del Figlio di Dio: lui doveva mondare tutti gli uomini dal peccato originale, io vorrei soltanto che i macchinari, il tempo, le risorse e l’affetto che si spendono sul mio caso disperato vengano rivolte ad altri malati, più bisognosi di affetto, risorse, tempo e macchinari. Ma la vita è un dono, l’unico che mi resta, e dei doni si dispone a piacimento. Capisco che dire di No a un dono possa essere interpretato come un segno di scortesia: il mio però più che un No è un Grazie, mi è piaciuto, ma in queste condizioni non mi va più, ne ho avuto abbastanza, datene piuttosto un po’ di più agli altri che ne hanno avuto meno.

– E quindi: che si stacchi la spina ai macchinari.
– Che si stacchi l’eventuale sondino che mi nutre. Qualora il dottore incaricato avesse difficoltà con la sua coscienza, chiuda gli occhi e faccia finta di toglierlo a Giovanni Paolo II.
– Che mi si somministri per favore qualche oppiaceo, nell’eventualità che pure nell’incoscienza io stia provando un po’ di dolore. Se non si può fa lo stesso, ma ho sempre pensato che prima di morire mi sarebbe piaciuto provare qualche sostanza da cui mi sono saggiamente tenuto lontano da giovane.

È tutto? Sì, direi che è tutto.
E se poi l’anno dopo si scopre la cura? Beh, mi stupirei del contrario. È la storia della mia vita, no?
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forse Dio è malato

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Te e i tuoi sfondi verde vomito

1. Mi dispiace, seriamente.
Vabbè, me l’aspettavo, ma la sconfitta di Veltroni mi addolora ugualmente. È vero, non condividevo la sua strategia. È vero, un signore che a settembre, con un gap del 22%, decide di andare da solo e giocarsi cinque anni della mia vita e del mio potere d’acquisto perché… “yes we can”, più che un leader è un cavaliere dell’apocalisse. Eppure sarei stato felicissimo di ricredermi: se ce l’avesse fatta sarei stato tutto suo, corpo e anima. Avrei cancellato tutti i pezzi livorosi nei suoi confronti (senza contare tutti quelli che mi sono proibito di scrivere) e li avrei sostituiti con citazioni ossequiose da “Forse Dio è malato” e “La scoperta dell’alba”. Quando ci promise gli anni ’60 ero anche pronto a farmi la frangetta e la Vespa 50. Ma ha perso, e ha perso male. Coi tuoi sfondi verde vomito, ma nasconditi.
“Siamo a meno sei”, dicevi un mese fa. Oggi è a meno nove. Dovevi conquistare gli indecisi? Li hai persi. Col tuo nobile gesto hai ucciso la sinistra arcobaleno, che avrà pur avuto tanti difetti, ma non meritava una fine del genere. O la meritava? E io la meritavo? Io, non Bertinotti, io, dovrò vivere altri cinque anni pagando con le mie tasse gli sgravi fiscali dei padroncini incapaci. Io finanzierò il Ponte sullo Stretto, e vedrete che se c’è un modo di farmi salvare Alitalia, magari espiantandomi il midollo, me lo espianteranno (naturalmente Ahmad sarà mio compagno di cordata). Tremonti metterà i dazi, l’Unione Europea ci multerà, e sapete chi pagherà la multa? Io.
Il minimo che possa chiedere, in questo momento, è la testa di Veltroni. Dite che non è colpa sua? Luca Sofri dà ancora la colpa a Prodi. E perché non a Occhetto? Guardiamo in faccia alla realtà. Il partito di Veltroni doveva “affascinare” gli italiani: non è successo. Dietro al gran nome, dietro alla simpatia paracula delle claques romane, dietro ai paraventi di Repubblica sempre più serrati intorno a una realtà parallela, c’era l’evidenza di un leader un po’ bollito, rassicurante ma privo di appeal, che ai giardini l’anno scorso mi fece una così triste impressione – ed era in territorio amico. Durante la campagna elettorale ho atteso vanamente il colpo da Grande Comunicatore, il coniglio nel cappello – niente. Credo che l’Africa non debba attendere ulteriormente. Il suo posto può prenderselo chiunque, meglio se gradito a nord: col senno del poi, Bersani fece proprio male a ritirare la sua candidatura alle primarie.

2. Quello che è successo a sinistra ha le dimensioni di un suicidio rituale di massa. La stessa scelta di nonno Fausto come leader gridava: “Non votate per noi, siamo vecchi stanchi e forse nocivi”. È la storia più triste che io conosca: un gruppo di politici (non tutti bravi, anzi in gran parte scarsi, ma non è quello il problema) decide di sacrificare le proprie forti idealità per assicurare un governo stabile all’Italia. Non solo non riescono ad assicurarlo, ma perdono sia il loro elettorato che l’alleanza in nome della quale si erano sacrificati. E adesso? Il passo più logico è all'indietro: le europee dell’anno prossimo sono proporzionali senza sbarramento, verdi e comunisti andranno tutti alla spicciolata alla ricerca di un euro-seggio che li tenga fuori dai guai e dalle monnezze d’Italia. Non li biasimo. Piuttosto mi chiedo cosa farò, in un’Italia senza sinistra parlamentare. Se aggiungo il quadro la crescita dei movimenti parafascisti nelle scuole, me la vedo proprio male.
Poi penso che poteva andarmi peggio, in fondo sono etero. Amici gay, l’estate scorsa litigavate con me perché i DiCo proposti dalla Bindi non erano veri matrimoni, vi ricordate? Sembra già trascorsa una vita.

3. Se i gay piangono, i Vescovi non hanno molto da ridere. A loro modo, volevano dare una dimostrazione a Berlusconi: guarda che senza di noi non vai lontano. Sbagliato. Il governo Bossi-Berlusconi sarà uno dei governi più laici della storia della Repubblica, senza Binetti e con un sacco di allegri puttanieri. Memorandum per Casini: la prossima volta che il signore che già ti regalò cinque anni di presidenza della Camera ti telefona per invitarti nel suo nuovo partito, tu digli di sì, anche se sei spossato da un viaggio in eurostar e tutti gli amichetti ti strattonano per andare a giocare nel loro nuovo partitino bianco. E lascia perdere anche i tuoi amici vescovi. Quelli brontolano un po', ma alla fine ti assolvono sempre, dovresti saperlo.

4. Come volevasi dimostrare, il partito di Giuliano Ferrara non esiste. Purtroppo dovrò pagarlo ugualmente (nelle nazioni civili, ad es. in Francia, chi non supera una soglia percentuale non accede ai rimborsi elettorali: in Italia invece bastano due firmette di senatori e ti candidi a spese mie; chissà quanti poi gonfiano le spese e ci lucrano su). E tuttavia voglio sperare che il suo flop sia abbastanza rumoroso da chiudere per un pezzo qualsiasi speculazione su legge 194 e derivati. È l’unica vera buona notizia di stasera, direi. Però attenzione, perché da dopodomani lui ripartirà a scrivere sul suo giornaletto quanto è stato bravo, e sarà in tv tutte le sere a dire che ha perso però è stato tanto bravo, e insisterà finché gli daremo retta, e ci rimetteremo anche noi a parlare di questa archiviatissima legge 194. Perché? Perché siamo dei polli (infatti continuiamo a dar retta agli exit poll).

5. Anche Boselli non esiste – ma questo si sapeva già. Persino i numeri non sono una novità. La notizia è che, dopo 15 anni, se ne sia reso conto anche lui. Chissà come ci si sente. Come Bruce Willis in quel film quando si rende conto di essere morto, un’ora e mezza dopo che lo hanno capito gli spettatori.

6. Il successo della Lega merita un pezzo a parte – stasera mi fermo a questo: tutti avevano in mente una campagna iper-moderna, all’americana, Obama-style: e invece ha vinto il partito più vecchio dell’arco costituzionale: direttamente dai ruspanti anni ‘80, coi suoi leader cresciuti alla Scuola Radio Elettra (altro che Frattocchie) assolutamente non fotogenici, così impacciati e involuti che un ictus al cervello non li peggiora. Pensavamo che l’Italia fosse “Yes we can” e invece ha vinto “tiriamo fuori i fucili, grunt”. Però questa è l’Italia in cui vivo io. Non la amo, questo no, ma la riconosco. Quell’altra invece non riuscivo proprio a metterla a fuoco. E mi dispiace, credetemi.
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Sfonderò i vostri armadietti maledetti

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Un luogo appena un poco più comune

Basta armadietti
È giusto, prima di parlare di un film del genere, che il piccolo recensore confessi le sue idiosincrasie. Perché magari Juno potrebbe essere una pietra miliare del cinema mondiale, tipo Quarto Potere od Odissea nello Spazio, e tuttavia non sarei riuscito ad apprezzarlo appieno dal momento che è un film con gli armadietti e io, quei fottuti armadietti dei licei americani, non li sopporto più, levatemeli dagli occhi.

Non è colpa degli americani – che ci possono fare? Loro hanno gli armadietti, è giusto che li mostrino. E hanno anche le cheerleader e i bibitoni dai colori improbabili, e il ballo di fine anno… è normalissimo e comprensibile che continuino a fare film su queste cose. Si tratta di un problema mio: a un certo punto della mia vita ho iniziato a sentire una voce nella mia testa che mi diceva BASTA COI FOTTUTI ARMADIETTI e questo forse pregiudica la mia capacità di recensire Juno.

Forse ho visto troppi telefilm, fatto sta che a un certo punto il mio immaginario ha sviluppato un’intolleranza agli scaffali grigi lungo i corridoi. L’impressione di conoscere le scuole di laggiù meglio delle italiane, oltre che illusoria, è frustrante, perché in quella italiana ci lavoro, e benché ricopra una mansione di grande responsabilità il mio personale armadietto è largo 40x20cm.: ogni mattina che m’inginocchio per aprirlo, ripenso agli immensi armadietti degli imperialisti americani. Non sono la persona più adatta a parlare di Juno.

Non so se l’ho mai spiegato, ma l’America mi fa paura. Meno della Cina, ma un po’ più del Perù. Si può viaggiare per giorni e giorni e si resta in America. Cambierà il paesaggio (non tanto), ma le città avranno nomi simili, i ristoranti i nomi identici, e nei licei le bionde faranno le cheerleader e le more ascolteranno punk. Tu pensi che sia un luogo comune. Ma l’America è precisamente questo: un immenso luogo comune. Quando esce un film, e tutti dicono che è un film diverso dagli altri, tu ti aspetti precisamente che rovesci il luogo comune. Ma un luogo comune rovesciato è ugualmente comune, come quella canzone che ascoltata all’incontrario suona uguale. Così Juno arriva a scuola, apre il suo armadietto, scambia due scortesie col bulletto di torno, e ci spiega che in realtà ai bulletti piacciono le more postpunk, mentre alle bionde piacciono i professori, avete capito come ragiona Juno? È questo che mi spaventa dell’America. La quantità ti porta a ragionare per categorie. Al massimo riconoscono che le categorie si comportano in modo un po’ più complesso (pensavi che le bionde si filassero i terzini di football? sbagliato), ma questo non toglie che le categorie esistano, e tu ci sia dentro. Hai capito, individuo di una piccola nazione esotica? Tu in realtà non esisti. La tua individualità è una somma di variabili che noi abbiamo individuato e quantificato da tempo. Esistono i nerd, esistono i fighetti, esistono quelli che prenotano la limousine per il ballo di fine anno ed esistono quelli che trovano il ballo una stronzata ma sotto sotto gli rode. Più su esistono i ricchi che vivono tra mobili per ricchi in case da ricchi nei sobborghi da ricchi, e i non ricchi che hanno lo sportello del frigo adorno di cento calamite.
Quello che mi fa più paura in questo modo di pensare, è che probabilmente gli americani hanno ragione. Se prendiamo 200 milioni di persone, e li facciamo vivere in una fascia geograficamente abbastanza omogenea, vedremo che le personalità si allineano lungo determinati standard sociali, e che l’individualità non può essere che un’illusione. Un’illusione che probabilmente è più facile coltivare in una penisola stretta e stretta ricca di paesaggi e climi diversi, dove sulle due sponde dello stesso fiume si parla un dialetto diverso. Comunque io preferisco tenermi la mia illusione di individualità, e voi tenetevi quei fottuti armadietti.

(Qui non parlo più di Juno)
A un certo punto della mia vita ho fatto la pace coi luoghi comuni. Dal momento che esistono, e funzionano, ho capito che devo imparare ad usarli e a non essere usato da loro. Per esempio io ho un blog, non so se ne avete sentito parlare. Su questo blog a volte scrivo dei racconti, li scrivo molto brevi con la scusa che sono per il blog, e siccome non ho spazio per costruire personaggi a tutto tondo (ma avendo lo spazio probabilmente mi mancherebbe la capacità), nella tazzona oversize dei luoghi comuni c’intingo alla grande, e quando i commentatori s’incazzano io sghignazzo. “Ehi, Leonardo, ho letto il tuo pezzo sugli imprenditori arroganti e i benzinai pachistani con la faccia gentile, bella roba, eh? Forse non al livello di quello sugli omosessuali petulanti, ma insomma quando arriva il pezzo sui negri col senso del ritmo?” Tempo al tempo, arriverà anche quello, non fatemi pressione. Siccome non ho pretese di naturalista ottocentesco, né di monologhista interiore novecentesco, ma vorrei semplicemente descrivere la mia società in abbozzi sintetici ed efficaci che arrivino a più gente possibile, io ho da tempo incluso i luoghi comuni nella mia cassetta degli attrezzi, e non credo di falsificare la realtà quando li uso, anzi.

Forse l’ultimo Virzì mi è piaciuto tanto perché ci leggo la stessa premessa: perché darsi pena ad evadere dai luoghi comuni, quando la realtà stessa è ben più macchiettistica del vero? Virzì descrive la realtà abitata da tizi come quel manager della Telecom che incita a vincere come “Napoletone a Waterloo”: l’avete visto tutti. Sembrava o non sembrava un provino di Tutta la vita davanti? Ma probabilmente i critici l’avrebbero trovato troppo caricaturale. E allora non prendetevela con Virzì, l’Italia è questa. Se mai mi piace che Virzì abbia scelto l’opzione della vecchia commedia all’italiana: dati gli stereotipi, carichiamoli finché scoppiano. Il suo è un film dove la gente litiga, impazzisce, imputtanisce, in generale fa male a sé stessa e agli altri. Questo mi piace, tanto più ultimamente al cinema m’imbatto sempre più spesso in film che praticano una via opposta.

(Adesso parlo di Juno, raccontando quasi tutta la trama)
Juno è per l’appunto un rappresentante di questa seconda via, che potrei descrivere così: siccome i luoghi comuni esistono, li diamo per scontati, li accenniamo appena appena, e poi lavoriamo per sottrazione. E quindi, caro spettatore che conosci a memoria tutto lo sfondo umano del liceo americano: ti aspetti che Juno sia una sedicenne irresponsabile e deficiente? Ecco, no, vedrai che non è così irresponsabile e deficiente. Ti aspetti che il suo ragazzo sia nerd e immaturo? Dai, non è così nerd, corre gli 800 metri e si preoccupa dell’alito. Ti aspetti che la migliore amica sia una bionda senza cervello? Scoprirai che ne ha abbastanza per dare a Juno i consigli migliori. Ti aspetti che la matrigna manicure voglia più bene ai cani che a Juno? E invece no, anche lei ha un gran cuore. Forse la madre affittuaria è una donna in carriera maniaca delle creme? Ma al centro commerciale gioca per dieci secondi con una bambina bionda, e quindi probabilmente sarà una brava madre. Forse suo marito è un Peterpan con la crisi dei quarant’anni, pronto a gettarsi su una 16enne incinta di suo figlio? Ehi, ehi, piano, messa così potrebbe sembrare un mostro, e invece vedete che anche lui si ferma subito, capisce il suo errore, chiede il divorzio, naturalmente consensuale e collaborativo perché mostrare un litigio coniugale in un film fa trooooppo anni Novanta, insomma… è un luogo comune.

Il problema è che un luogo comune “impoverito” non è meno comune di prima: è semplicemente appiattito, una versione bidimensionale della realtà (e come tale forse in grado di suscitare un effetto cromatico che solo le ragazze riescono veramente ad apprezzare, il famoso effetto Klimt), dove non ci sono più veri conflitti e tutto è così… carino, ma così carino, che a un certo punto fantastichi di Juno che torna a casa dalle prove del complesso e ci trova Javier Bardem che ha ucciso tutta la sua famiglia con una bombola da enfisema (avete notato che i marciapiedi sono identici? Ma tutta l’America suburbana è così, anche quando la girano in Canada).

Immaginate la storia di Juno scritta e girata da un cultore del conflitto grottesco. La ragazzina scopre d’essere incinta: piange, strepita, poi si mette a cercare dei genitori seri. Perché mai dovrebbe trovarli al primo colpo? Quando mai nella vita è buona la prima? Io mi sarei preso venti minuti almeno di tour nelle case degli aspiranti genitori: madri isteriche, fratelli bulimici, padri passivi aggressivi con uncini appesi al garage, non mi sarei fatto mancare nessun luogo comune, dal momento che tutti questi luoghi comuni sono documentati nella cronaca, sono stramaledettamente veri. Poi avrei fatto litigare Juno con padre e matrigna: so benissimo che esistono genitori che sanno prendere le cose con filosofia, ma che gusto c’è a mostrarli in un film? Io al cinema voglio vedere la gente che litiga, è una cosa che Aristotele chiamava catarsi, e funziona: dopo torno a casa placido come un agnellino e se trovo mia figlia a letto con un cingalese sono io che la prendo con filosofia.
Invece un film carino e pacificato come Juno mi rende nervoso, finisce che litighiamo per una svolta a sinistra, non è certamente questo lo scopo dell’arte. E anche il Peterpan, l’avrei voluto un po’ più stronzo, perché che gusto c’è a mostrarci uno stronzo senza mordente? Siamo tutti stronzi così, ma quando andiamo al cinema vorremo vedere uno stronzo assoluto, qualcuno che prenda su di sé i nostri vizi e li potenzi al massimo, onde farcene realmente vergognare (o al limite darci la consolazione dei vili: sono pur sempre meno stronzo di lui). Un fighetto ex grunge coi sensi di colpa non ci fa neanche arrabbiare, non ci fa nulla, quasi quasi ha ragione lui, genitori non ci si improvvisa. Dateci una vera canaglia. E il ragazzo di Juno, lo vogliamo caratterizzare in qualche modo? Non è troppo nerd, non è troppo atleta, non è troppo niente, gelatina al gusto di gelatina, nessuno si innamora veramente di un tipo così.

I luoghi comuni esistono, ma non diventano più interessanti a smussarne le punte e a ricoprirli di melassa. Ma quel che è paggio è che in questo modo si tradisce l’adolescenza di cui si vorrebbe parlare, che non è – per quel che ne so e che mi ricordo – un’età carina. Ma neanche un po’. È un’età grottesca e piena di conflitti, in cui si urla e si strepita per un biglietto dei Tokyo Hotel – figurarsi per un bambino. È l’età dei brufoli, e Juno non ne ha: questo per me chiude ogni discorso. E poi, scusate, è un’età manichea. Se ti piacciono gli Stooges, non suoni i Moldy Peaches. I Moldy Peaches li mangi vivi e li vomiti nel vaso della matrigna, perché se ti piacciono di Stooges e Patti Smith l’ultima cosa che vuoi dare di te è un’immagine “tanto carina”.

Certo, se facciamo finta che i sobborghi americani (e quelli italiani, di riflesso), siano pieni di ragazze carine e vitali e sotto-sotto-sotto-sagge come Juno, è chiaro che l’aborto diventi una cosa assurda: che bisogno ce n’è? Nove mesi di nausea e poi un bel pianto, in casa tutti capiscono le tue scelte, fuori è pieno di simpatici ricchi che non vedono l’ora di prenotare il pargolo, insomma, per raschiarlo via bisogna essere veri mostri. Così l’estetica “carina” finisce anche suo malgrado per contribuire alla battaglia dei più salottieri degli attivisti pro-life. Anche se… ma quindi i ratzingeriani atei sono favorevoli all’adozione da parte dei single? No, perché non lo sapevo. E Ratzinger lo sa? Forse è anche per quello che non manda nessuno alle loro manifestazioni. Vabbè, si consolino coi pomodori di Bologna, città generosa.
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e chi non c'è, non c'è

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Aborto terapeutico

Mi dispiace per aver creato delle attese, ma dopo l'esito della manifestazione "Aborto no grazie" di sabato 8 marzo, durante la quale Ferretti ha intonato il Te Deum per un pubblico inferiore a quello dei suoi primi concerti punchettoni a Scandiano o Codemondo, ho deciso di sospendere unilateralmente la mia campagna di presa per il culo di Giuliano Ferrara, un uomo solo di fronte al ridicolo.

La mia non è pietà, che riservo ai puri di cuore, o comunque non ai raccomandati storici, ma puro calcolo: a sfottere Ferrara siamo già in troppi (e quasi tutti più bravi di me: Disegni, Guzzanti, Cortellesi, vado a nascondermi). È un accanimento degno di miglior causa. La verità, illustrata dal clamoroso flop di sabato, è che se non fosse per noi che lo prendiamo in giro, di questo signore non parlerebbe nessuno, perché le cose che dice non sono interessanti.

[Per inciso, mi piacerebbe proporre una legge non molto democratica che imponesse l'abbandono della politica a tutti quelli che indicono una manifestazione nazionale e non riescono a raccogliere in un sabato nemmeno mille persone – pensate, in un colpo solo ci libereremmo di Ferrara e Capezzone (e anche Mastella e Boselli, che però sono più furbi e in piazza da soli non si fanno trovare mai)].

La mia sensazione è che la campagna di Ferrara, come il portale di Capezzone, o le campagne elettorali di Adinolfi, o le teorie quantistiche di Gabriella Carlucci, o i gatti bonsai, facciano parte di quell'insieme di cose che esiste soltanto su internet, e magari un po' su La7, ma che se ne parli nel mondo vero la gente ti guarda strano, chi è Adinolfi? La Carlucci non fa la soubrette? E Ferrara è da un pezzo che non si sente più, che combina?

Certo, gli fanno scrivere un giornale: ma non lo legge nessuno (se non per sfotterlo, appunto). Certo, è continuamente in tv per via di una complicata politica di scambio di favori; ma la gente cambia canale. Anche i vescovi, probabilmente.
Rispondendo alle sue provocazioni si finisce per accettare il postulato che il dibattito sulla vita sia prioritario in questa campagna elettorale. Personalmente non ritengo che lo sia, né vorrei che lo diventasse. Non solo, ma tutte queste chiacchiere sventate sulla sepoltura per gli aborti hanno il risultato perverso e non casuale di far apparire Silvio Berlusconi un campione di laicità semplicemente perché queste cose non gli interessano (come non interessano buona parte della società civile o incivile che sia, che di aborto comincia a preoccuparsi soltanto il giorno che la figlia si mette a piangere per il ritardo). È un gioco di sponda, involontario o no: io mi smarco. In questi giorni ho parecchio da fare e forse neanche un minuto al giorno per le farneticazioni di un signore che pur variando i dosaggi dei farmaci non ha ancora nemmeno visto Dio. Evidentemente non è portato: però è un problema suo.
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If the Sperm is Wasted

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Anche noi abbiamo i 12 punti!

Passato un incantevole fine settimana da mia suocera, approfittato di questo meraviglioso lunedì di inoltrata primavera per l'autolavaggio (il riscaldamento globale, davvero, non è quel mostro malvagio che dipingono taluni catastrofisti della domenica) eccomi pronto a ribattere il chiodo della mia polemica umile, ma universale, che nel fine settimana ha attirato anche l'attenzione del primo quotidiano on line in Italia.

Bando alle ciance, ecco i 12 punti che i sostenitori della lista "Risparmia lo sperma" si impegnano a difendere (un grazie a Pessimesempio per il nome)

Preso atto che ogni Spermatozoo è Vita, e che la Vita è sacra, e se sprechi la Vita, Dio non è contento, noi sostenitori di Risparmia lo sperma c'impegniamo a:
  1. Promuovere legislativamente il dovere di dare cristiana sepoltura a tutti gli spermatozoi sparsi sul territorio nazionale. Le spese sono a carico del pubblico erario.
  2. Vietare per decreto legge l’introduzione in Italia del preservativo in plastica o caucciù, e simili veleni che negli ultimi anni di lassismo laicista hanno portato a uno sterminio di innocenti che non ha precedenti nella Storia; e se li ha, chi se ne frega della Storia, noi viviamo nel presente.
  3. Stabilire per via di legge che ogni spermatozoo sfuggito al suo genitore naturale, in quanto Essere Umano, ha il diritto di essere accolto da un Ovulo, e che provvedere a questa accoglienza è un compito deontologico dei medici a prescindere da qualunque autorizzazione di terzi. Non sono previsti obiettori di coscienza, perché la coscienza ce l'hanno solo i medici cattolici e quelli saranno d'accordo con noi: tanto più che per ogni spermatozoo allevato li paghiamo. Cioè, li paga il pubblico erario.
  4. Emendare l’articolo 3 della Costituzione, comma 1. Dove è scritto “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” aggiungere una virgola e la frase “dal l'emissione paterna fino alla morte naturale”. Questo, oltre a rendere la nostra Costituzione la più avanzata del mondo sul riconoscimento della Vita, tapperà per sempre la bocca a quelle donnacce che con la scusa della gestazione si credono padrone della Vita altrui fino al nono mese d'età - che, scherziamo? E' ora di stabilire per legge ciò che ogni buon italiano ha intuito da tempo: noi nasciamo dai coglioni. In Italia, perlomeno. All'estero chissà.
  5. Impegnare il governo della Repubblica - che non si capisce bene che altre priorità dovrebbe avere - a costruire un’alleanza capace di emendare la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite all’articolo 3. Dove è scritto “ogni individuo ha diritto alla vita” aggiungere una virgola e la frase “dall'emissione paterna fino alla morte naturale”. Siamo convinti che al Palazzo di Vetro si annoino delle solite emergenze umanitarie, e che non aspettino altro che qualcuno abbastanza coraggioso per aprire il dibattito su queste cose. Che la crisi energetica e la Striscia di Gaza, lasciatecelo dire, hanno veramente rotto le palle a tutti.
  6. Difendere la legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita. Con gli spermatozoi non c'entra nulla, forse, ma mi dicono che dobbiamo coprirci a destra.
  7. Fondare in ogni regione italiana una Agenzia per le Fecondazioni il cui compito specifico sia quello di favorire l’adozione, con procedura riservata e urgente, di quegli spermatozoi di cui malgrado tutto il genitore si voglia disfare. Immaginatevi la scena: l'uomo entra nell'Agenzia piangendo: "basta, non ne posso più (di tutta questa vita dentro di me), ora faccio un gesto disperato..." crede di trovarsi di fronte a persone che lo giudicano e lo compatiscono, e invece no: giovani uomini e donne sorridenti lo prendono per mano e gli spiegano che va tutto bene, non c'è nulla di sbagliato a dare luce a una Vita, a patto che essa sia consegnata nell'apposito involucro refrigerato. Queste Agenzie Regionali per le Fecondazioni (AgRegPerLeFec), se ci pensate, creeranno centinaia di posti di lavoro in tutt'Italia, e questo è già un bene: avete una cugina ottusa? Un nipote al terzo anno fuoricorso in Scienze della Comunicazione che non sa ancora cosa fare dopo? Un cognato deluso dalle dinamiche del casting del Grande Fratello? Ecco, è la tipica persona adatta per lavorare in un'Agenzia per la Fecondazione. Tanto paga il Pubblico Erario.
  8. E siccome siamo utopisti, ma previdenti, c'impegniamo a sostenere i primi nove mesi di vita degli ovuli fecondati con... con altri soldi, soldi a pioggia, viva viva il Pubblico Erario.
  9. E dopo i nove mesi? L'idea sarebbe convincere le madri a tenerseli, vale a dire... c'impegniamo ad applicare la parte preventiva e di tutela della maternità della legge 194. Potenziare in termini di risorse disponibili e di formazione del personale pubblico, valorizzando il volontariato pro vita, la rete insufficiente dei consultori e dei Centri di aiuto alla vita in ogni regione e provincia italiana. E ancora qui, un sacco di lavoro per tutti gli imbecilli in grado di lucrare una raccomandazione, e un'ola al Pubblico Erario, se non ci fosse lui.
  10. Siamo consapevoli che non tutti gli spermini recano cromosomi di qualità, e che quindi l'Italia si popolerà di freak... volevo dire, di persone diversamente abili. Questo, se da una parte farà sembrare più belli noialtri, avrà un certo costo per la collettività... ma chi se ne frega? Quadruplicare i fondi per la ricerca sulle disabilità e istituire una Agenzia di tutela e integrazione del disabile in ogni regione italiana. E chi non è d'accordo è un nazista che odia i disabili. Noi, invece, li amiamo (e ne vogliamo sempre più).
  11. Sostenere con sovvenzioni pubbliche adeguate l’attività dell’associazione di promozione sociale denominata Movimento per la vita. Come si vede, non c'è limite alla nostra capacità di immaginare modi di spender soldi pubblici. E questo ci porta al punto 12.
  12. Le risorse per il nostro programma di sostegno alla vita in tutte le sue forme sono da fissare nella misura di mezzo punto calcolato sul prodotto interno lordo e verranno rese disponibili attraverso lo stanziamento di 7 miliardi di euro attualmente giacenti presso i conti correnti dormienti in via di smobilitazione e altri cespiti di entrata. Siccome non basteranno, bisognerà saccheggiare le case degli opinionisti laicisti, che negli anni scorsi hanno lucrato enormi compensi da rai e mediaset per parlar dei fatti loro e difendere i loro interessi. Meglio farlo adesso, perché poi da vecchi si convertono e diventano ancora più costosi.
Che ne dite? Sembra finto, vero?
Beh, non lo è poi così tanto.
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Every Sperm is Great

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Avanti così, mm. dopo mm.

Questa iniziativa, che mi è umilmente passata per la testa ieri, mentre non sapevo cosa scrivere, sta finalmente dando un senso alla mia vita. Devo veramente ringraziarvi: forse non siete tantissimi, ma in queste ore mi avete fatto sentire meno solo. E allora coraggio, ora che finalmente dopo anni abbiamo una Causa, diamoci da fare.

Prendiamo esempio da loro, che non si danno mai per vinti. L'obiettivo è lontano, le speranze di raggiungerlo minime, eppure loro scodinzolano e scodinzolano senza perdersi d'animo, millimetro dopo millimetro. Noi non dobbiamo fare niente di meno.

Ora si tratta di trovare un nome, perché si sa che la politica ha bisogno di messaggi semplici e accattivanti. Ho visto che "Spargi sperma? no, grazie" non vi ha convinto, e devo dire che non avete tutti i torti. Inviatemi pure le vostre proposte scritte di vostro pugno... qualcosa mi dice che ora avete un po' più di tempo di libero, no? e allora usatelo per qualcosa di proficuo, finalmente.

Dopo il nome penseremo al logo, al programma, e perché no, all'Inno. Su suggerimento anche vostro stavo pensando di tradurre e aggiornare questo vecchio classico:

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every s**** is sacred

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Ma non so neanch'io cos'è, questa stanchezza.
La stagione forse, boh.

Però questa campagna elettorale non mi prende. Saranno le facce. Oppure no. Sono i problemi. Non ci sono quei bei problemi di una volta.
Perché va bene, d'accordo, l'Euro a 1.50$. La benzina ai massimi. Il metro quadro a peso d'oro. La crisi della quarta settimana. La crisi della terza settimana. La crisi. La stangata del riscaldamento. I rifiuti. La camorra. La 'ndrangheta. La mafia, che è pure un po' depressa. Il mancato ricambio generazionale in tutte le professioni, dalla pubblica istruzione allo spettacolo (ma sul serio a Sanremo non riescono più a trovare un fonico decente?) La pubblica istruzione. Il bullismo. I prof psicopatici. Il derby bulli-prof psicopatici. La droga, sempre più cara, dannazione. La sanità. Gli zingari. I gay che non si possono sposare. I migranti che non si possono sposare (anche coi gay). La criminalità. Le case diroccate che attirano i ragazzini. Tutti questi vi potranno anche sembrare temi interessanti, per mezz'ora, ma dopo sai che noia? E' il solito trantran delle democrazie mediorientali. Insomma, ci vorrebbe qualcosa di completamente diverso. Qualcosa di forte. Un argomento in cui si potessero riconoscere tutti.

Io non dovrei lamentarmi, non mi manca niente: gente che viene a leggermi ne ho, eppure so che mi meriterei di più, se soltanto... se soltanto riuscissi a esprimere tutto quello che c'è dentro di me, tutta quell'energia, quella genialità... se solo penso a tutti quegli spermini, voi ci pensate mai? Io ci penso.
Sapete quanti spermini contiene un ometto come me? Beh, parecchi. E... volete sapere una cosa? Sono vivi. Li ho anche visti ingranditi su youtube, non mi posso sbagliare. Quelli scalciano, capite? Scalciare è una cosa che fanno gli organismi viventi. Scalciano, nuotano, lottano per uno scopo. Sono più vivi di parecchi di voialtri. Voi ce l'avete uno scopo chiaro per cui lottare? E una coda da scalciare, ce l'avete? Ecco, appunto.

Provate a guardarveli, la prossima volta che li sbattete via come monnezza. Se ammettete che sono vivi - e non vedo proprio come potrebbe essere altrimenti - dovete accettare anche che hanno il vostro stesso DNA. Insomma. Vivi e col vostro DNA. Finché...
Finché un bel mattino, o una sera, o un pomeriggio, non vanno a sbattere ai 100 all'ora contro un muro di plastica, l'invenzione più odiosa dell'umanità, o peggio finiscono a chiazzare i materassi, o la biancheria, o... gli orifizi sbagliati, o la terra non sconsacrata, come capitò a Onan, e a Dio non piacque, proprio no. Sta sulla Bibbia, nero su bianco.

Forse ci sono. Ecco cosa ci vuole per questa campagna elettorale. Un bel tema forte, un argomento ben presente a tutti, blogger compresi.
Altroché i rifiuti. Altroché l'affitto al metro quadro. Qua si difende la vita! In tutte le sue forme. E soprattutto le forme piccole e scalcianti che i laicisti esasperati fanno finta di non vedere.
La campagna contro lo spargimento. Che idea. Ma come mi vengono?
E dire che mi sembrava una di quelle giornate grigie - adesso però ci vuole il logo. Qualcosa di semplice, che possa unire tutti...


...bello schifo. C'è per caso un grafico bravo, qui?
Dai, che è una lotta per tutti.

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si' stata 'o primm'ammore

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San Valentino vien per tutti

Ma quando vedo questi pretini, cresciuti nel puro amore di Dio, che cominciano a nutrire un sentimento di profonda stima per Giuliano Ferrara, io non so veramente se piangere di stizza o di pietà. Comunque piango.

Mi fanno davvero venire in mente quei soldatini di leva appena arrivati in città, spaurite matricole nel ventre pulsante di Cuneo o di Chieti, che alla prima licenza fanno amicizia con una ragazza simpatica. Passa una settimana, e passa un mese, e loro sono sempre lì che la portano al cinema, la portano a cena, rispettandola sempre tanto. E ci fanno una passeggiatina, e stanno già pensando all'anellino, e non sanno che tutto intorno la città li guarda sfilare a braccetto con la bagascia del reggimento.
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la leggenda di San Giuliano il digiunatore

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Un giorno da leone

Caro Gesù Bambino, che vedi tutto: non ti sarà sfuggita l'ultima iniziativa di Giuliano Ferrara.

Da qualche giorno sta facendo una dieta di soli liquidi, che probabilmente gli gioverà. Il pretesto è una specie di moratoria contro l'aborto, bla bla. Il vero motivo per cui Ferrara si sottopone a questa innocua privazione è chiaro a ogni povero di Spirito: Ferrara ha intenzione di vedere Dio entro la fine dell'anno, e metter fine alla manfrina dell'“ateo devoto”, che oggettivamente fa ridere. Ormai lo dice a chiare lettere: “E' un mezzo di contatto subliminale”; e chi dovrebbe contattare, se non Tuo Padre? Bene, sono abbastanza sicuro che durante un calo di zuccheri ci riuscirà (è il vecchio trucco degli anacoreti), e sono altrettanto certo che da quel momento le porte di Santa Romana Chiesa si spalancheranno definitivamente per questo figliol prodigo. Del resto sono fatte per questo, quelle benedette porte, no? Per spalancarsi. Bene, molto bene. Salvo che io non vorrei esserci, in quel momento. Per questo ti scrivo, Gesù Bambino. Ti saluto. Mi prendo un po' di ferie.

Caro Gesù, mio Buon Pastore: io sono uno delle 99 pecorelle che non hanno mai dato pensieri ai tuoi cagnoloni – a parte quando schitarravo i salmi in chiesa con una certa foga, ai bei tempi del Vaticano II. Per il resto ho frequentato con profitto anni di catechismo, arrivando puntuale a ogni sacramento. Ho pregato, sin da bambino, e ho letto le Scritture. Tutte. Senza smettere di credere in te, il che è già un miracolo della fede. Proprio per questo motivo so bene che c'è più gioia in cielo per una pecorella smarrita e ritrovata che per 99 come me, che beeelano beeelano la loro devozione da una vita. Proprio per questo motivo so che nelle cucine pontificie sono già indaffarati a condire il vitello grasso. Tutto giustissimo, ma io stavolta non ne assaggerò. Il mio amore per il prossimo ha evidentemente un grosso difetto: se domani entrasse da quella porta Bin Laden, sinceramente pentito, me ne rallegrerei. Ma Giuliano Ferrara, Santo Dio, no. C'è incompatibilità.

Caro Gesù, che tornerai sulla terra per giudicare i vivi e i morti, mi rendo conto che il motivo del mio traviamento è sciocco e gretto, però Ferrara veramente non lo reggo. Non so neanch'io il perché. Probabilmente l'insofferenza nasce dall'averlo visto sempre in cattedra. È da quando sono al mondo che me lo trovo in una posizione di privilegio, a farmi lezioni d'ogni tipo.

Quando ho cominciato a pensare d'essere di sinistra, lui era già là, nella foto di famiglia, senz'altro merito fuorché un cognome illustre. Poi si è convertito alla socialdemocrazia e ha voluto insegnarla a tutta una generazione. Siccome è stata la stessa generazione che ha tirato le monetine a Craxi e ancora ne va fiera, forse il maestro non era così buono, ma che importa? Il tempo di fiutare il vento, e si è fatto liberale. È stato il cervello dietro a Berlusconi, e in quanto cervello si è trovato ad avere molto tempo libero. Allora si è messo in testa d'essere un giornalista, e a molte persone perbene e ragazzi ambiziosi è convenuto credergli. Nell'anno in cui il capo del governo poteva contare su due canali nazionali filogovernativi ed era proprietario privato di altri tre, Ferrara ha occupato stabilmente la prima serata del settimo. Nel frattempo scrive un giornale a spese mie, in cui ha insegnato il laicismo ai laici, il radicalismo ai radicali, l'America agli americani, il conservatorismo ai conservatori, la democrazia ai fondatori del PD e... e adesso è venuto il momento di spiegare il catechismo ai chierichetti. Mi pare giusto, ma non ci sto.

Caro Gesù, ti rendi conto? Lui che non sa distinguere una virtù cardinale da una teologale, gli Efesini dai Tessalonicesi, Sant'Antonio da Padova da Sant'Antonio Abate, domani salirà in cattedra e m'intimerà di convertirmi e credere al Vangelo! A me, cresciuto a Vespri e Lodi mattutine! Fino a questo momento tu eri l'unico con cui potevo parlare senza che lui ci si mettesse in mezzo. Ma da domani sarà diverso. Domani, quando proverò a dirti le preghiere, sentirò la sua presenza non discreta. Probabilmente disapproverà il modo in cui m'inginocchio o incrocio le mani, mi darà dell'ingenuo o del fighetto, o del gnégnegne... le solite cose. Non mi dirà nulla che non so già, e lo dirà con un sacco di parole brutte e strane, annoiandomi come un qualunque prete di campagna, ma con un sacco di ammiccamenti a cose e persone che non conosco e non m'interessano. Non m'insegnerà niente.

E dire che nella mia vita ho imparato da tutti: meccanici, casalinghe, venditori porta a porta. Addirittura qualche volta persino dagli insegnanti. Tutti mi hanno detto qualcosa che ancora non sapevo. Tranne lui. Lui in fin dei conti parla solo e sempre di sé, perché dovrebbe interessarmi?

D'altro canto, caro Gesù, io so che quando dicevi “Beati gli ultimi perché saranno i primi” ti riferivi anche a quelli come lui, che arrivando all'ultimo momento all'appuntamento con la Fede, ci sopravanzano, proprio come i velocisti nello sprint. Dunque Ferrara, già burocrate PCI e fonte riservata CIA, giunto al Vangelo in zona Cesarini, sarà uno dei primi nel tuo Regno...c'è una scandalosa giustizia in tutto questo, te lo riconosco. Ma d'altro canto devi pur immaginare che la prospettiva di un paradiso dove ogni sera alle otto e mezza c'è lui che mi spiega come stare all'Altro Mondo non mi sembra un'alternativa così interessante al fuoco eterno.

Per questo pensavo di andarmene un po'. Non so neanche dove. Da Maometto no, a meno che non venga lui. Budda, con quella storia delle respirazioni, mi spaventa. Probabile che me ne resti qua fuori nel parcheggio, come fanno tanti. Giusto il tempo di sbollire. Sono la 99ma pecorella, non ho diritto anch'io almeno a un giorno da leone?
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scoprire che Luttazzi è volgare

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Se ha da esser merda, ridateci Luttazzi!

Rincasando presto, sabato sera speravo di vedermi un po’ di Luttazzi. Non che mi piaccia sempre, questo Decameron, eh. Però è pur sempre Luttazzi.
Invece c’era una replica di una replica di Sex in the city, con le solite tre eleganti sciamannate che maneggiavano falli di gomma in un bar californiano. Del resto alle undici e mezzo di sera i bambini non dovrebbero stare davanti alla tv, per cui una scenetta con falli di gomma in un luogo pubblico non fa una grinza. Non faceva neanche molto ridere, ma se per questo a volte nemmeno Decameron.

Il giorno dopo ho visto altra tv: quel tipo di tv domenicale che si guarda di sguincio mentre si visitano i parenti. Tutta roba che i bambini – per fortuna – evitano come la peste, ed è per questo che Dio o un suo profeta ha creato la playstation, i Gameboy, le carte di Dragonball, o qualsiasi altro passatempo che ti impedisca di stare davanti al televisore mentre la Ventura urla che se il Torino va in Uefa si farà un altro tatuaggetto… e poi fa vedere il suo sexy car wash. Il sexy car wash di Simona Ventura, su un canale di servizio pubblico, più o meno alle 4 del pomeriggio, non è molto divertente (ma se per questo neanche a volte neanche Luttazzi). Non è neanche molto sexy (non più di un paio di falli di gomma branditi in un bar).

Potrei andare avanti a lungo con una serie di cose diseducative e volgari che mi capita di vedere al pomeriggio, o nel prime time. È un discorso che di solito evito, perché poi mi date del bacchettone, e non è vero. È solo che lavoro coi ragazzini, per cui se gli tarpate la pre-adolescenza con il sexy-car-wash di Simona Ventura, poi le loro turbe interiori me le sgrugno io.

Verso sera ho scoperto che Luttazzi era stato licenziato da La7. Mi è dispiaciuto. Ma non ditemi che lo hanno licenziato perché era volgare. La tv italiana è volgare, ormai, per costituzione. Se Simona Ventura alle 4 della sera può fare un sexy car wash, cosa vi aspettate da un Luttazzi confinato alle 11.30, con un contratto che prevedeva totale libertà artistica?

C'è chi dice che alla 7 possano fare quello che gli pare, perché è un canale privato e i privati son padroni a casa loro. Probabilmente si sentono anche spiriti liberali, mentre lo dicono. Per la verità, quando metti sotto contratto un artista, sei vincolato dallo stesso contratto che vincola lui. Non mi stupirei se alla fine della fiera Luttazzi dovesse intascare una congrua penale. Buon per lui - anche se io preferirei vederlo in tv.

A me Luttazzi piace, tranne quando si mette a fare l’artista contemporaneo. Lo sapete più o meno cosa intendo per artista contemporaneo, vero? Un bambino viziato che cerca attenzione gridando ai quattro venti cacca piscia sperma. Ecco, quando fa così non mi sembra di stare più sul divano di casa mia, ma al Guggenheim di Bilbao mentre guardo una videoinstallazione, e mi annoio. Detto questo, mica pretendo che chiudano il Guggenheim di Bilbao. C’è gente che viene a vedere le videoinstallazioni da tutto il mondo, e beati loro. Allo stesso modo c’è gente che quando Luttazzi dice cacca e piscia si diverte. Che problema c’è? Ripeto, alle 11 e mezza i bambini dovrebbero stare a letto. Onestamente non capisco perché tre sexy-sciamannate possano brandire falli di gomma in una sit-com sofisticata, e Luttazzi non possa dire cacca e piscia in un programma di satira un po' artistica. In Italia ci sono sette canali in chiaro, dovrebbe esserci spazio per tutti.

Un teoria molto avallata ieri è che Luttazzi non abbia detto semplicemente 'cacca piscia', ma ‘cacca piscia Giuliano Ferrara’. La cosa ha spinto per esempio Luca Sofri a scrivere una difesa un po’ contorta del direttore di rete che lo ha licenziato. Lui trova “eticamente apprezzabile e nobile difendere qualcuno della propria "famiglia" nel momento in cui viene attaccato, per di più da un altro della famiglia con l'atteggiamento del bambino che umilia il nonno”.
La metafora familista è indicativa – e un po’ fastidiosa. Ferrara non è un nonno, Luttazzi non è un bambino. Sono due professionisti, e solo uno dei due è intoccabile, qualsiasi cosa faccia o dica.
La sua decisione di arrivare in una casa nuova (dove hanno scelto di invitarti quando non ti invitava nessun altro) e sputare in faccia a uno degli ospiti è provocatoria e aggressiva nei confronti dei padroni di casa prima che degli ospiti.

Ancora: La7 non è una casa ospitale, ma un canale tv con le sue regole. Ferrara non è un ospite (né tantomeno un nonno saggio), ma un contrattista: e anche Luttazzi. Quest’ultimo è provocatorio e aggressivo per mestiere, e se non ti piacciono le provocazioni e le aggressività, si può sempre cambiare canale, no? qual è il problema?

“Luttazzi fa leva sull’aggressività”, continua Sofri. Embè? Da quando in qua nella tv italiana è vietato far leva sull’aggressività? Nessuno ne parla mai, ma Criminal Minds, il telefilm che in questo momento ha due prime serate su Rai2, è violentissimo. Arti staccati, giocattoli realizzati in costolette umane: con la scusa di dare la caccia ai serial killer immaginari, gli autori della serie danno fondo a un immaginario da serial killer. Se ora io facessi una raccolta di firme sostenendo che Criminal Minds in prima serata è diseducativo, probabilmente Sofri mi riderebbe dietro, come a un vecchio arnese del Moige. Un telefilm americano in prima serata non fa leva sull’aggressività, ma dai. Sono cose che si dicevano negli anni Ottanta. Solo Daniele Luttazzi, in terza serata, fa leva sull’aggressività. Solo lui – ah, e forse Sabina Guzzanti quando girava con la sciabola.

Insomma, in un mondo in cui la volgarità e l'aggressività sono la moneta comune, sembra che solo a Luttazzi non sia concesso di essere aggressivo, o volgare. Sarebbe, dice Sofri, come se Giannelli disegnasse domani in prima pagina sul Corriere una vignetta in cui il vicedirettore del Corriere sodomizza una delle commentatrici del Corriere, e lei dice "dai, che divento caposervizio!".

Che dire? La prima pagina del Corriere è esposta in tutti i chioschi d'Italia, mentre Luttazzi faceva un programma alle undici e mezza: non mi sembra la stessa cosa. Ma questo non è nemmeno così importante. Probabilmente Sofri si è lasciato sfuggire quella prima pagina di Libero in cui, all’indomani delle dimissioni di Prodi, un Berlusconi-tappo-di-sughero si dirigeva verso le chiappe-mortadella di Prodi, con un chiaro intento sodomita: il tutto in bella vista in tutte le edicole della Repubblica. Però si sa, Feltri è Feltri. E meno male. Perché se invece fosse Luttazzi, sarebbe insopportabilmente volgare. Istigherebbe alla violenza contro Prodi, Berlusconi e probabilmente anche contro i sodomiti.

All’indomani si è tutto schiarito: la battuta anti-Ferrara era solo un pretesto, il vero problema è che la puntata in onda sabato sera avrebbe parlato di Ratzinger. Evidentemente anche Ratzinger fa parte di quella “famiglia” un po’ allargata di cui parlava Sofri. Poco male, non resta che trovare qualcuno ancora non imparentato con la grande famiglia di La7. Giuliano Ferrara no, Ratzinger no, chi resta? Ne restano pochi, a dire il vero. Pochi ma buoni, per esempio... Maometto! Ecco, non ci resta che disegnare vignette con la barba del profeta e ridere a crepapelle.



Ahah, la bomba nel turbante, che ironia. E mentre rido, mi gusto anche tutta la libertà di questo Occidente senza censure. Sperando che nessun nipote del cugino dei dirigenti di La7 non sia… aspetta, c’è Afef.
Neanche Maometto, insomma.
Oh, beh.
Ci terremo i falli in gomma.
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eat my Ersatz

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Invece quel che penso dei nuovi articoli del Foglio sui blog è… ma no, ma che due palle, scusate. Ma siam nel 2007, e ancora esiste il Foglio? Sul serio? Ma perché?

Chiudete il Foglio (e aprite le finestre)

Lo so anch’io che esiste, perché ne ho visto una copia. Un mese fa, in biblioteca. Sono sicuro che è stato un mese fa, perché il prestito mi è appena scaduto. E dunque un mese fa sull’espositore ho visto la prima pagina del Foglio, molto elegante come al solito. Sei colonne sull’omicidio di Garlasco. Il quotidiano intelligente. Cioè, pensa se era un cretino.

Ma non lo voglio neanche criticare, il Foglio, perché si criticano le cose che si conoscono e io da un pezzo non lo prendo neanche in mano. Mi pongo semplicemente la domanda: perché esiste, il Foglio? Serve ancora a qualcosa? A qualcuno? Me lo chiedo tutti gli anni, e tutti gli anni la risposta è più difficile.

Se poi qualcuno ha delle critiche da farmi in quanto rappresentante della categoria dei blog, io son qui, son pronto. Ma date soltanto un’occhiatina al piedistallo da cui le fate, vi conviene. Mi accusate di non fare giornalismo? In effetti non ne faccio. Non fornisco informazioni di prima mano, mai. Non ho neanche mai preteso di farlo. Ma voi che scrivete sul… Foglio?
Mi accusate di essere autoreferenziale? Beh, certe volte sarò pure autoreferenziale. Ma dovete proprio scrivermelo dalle colonne del… Foglio?
Mi accusate di essere inutile? Va bene, ma spiegatemi una buona volta in cosa consiste l’utilità vostra. A parte naturalmente il gusto di spremere soldi di finanziamento pubblico, con un patetico espediente, per stampare tutti giorni un sacco di carta che resta per lo più invenduta. Ma è un giornale per la classe dirigente, dicono. Ma per favore. Ce li voglio vedere, i padroncini, a decifrare Ferrara col DeMauroParavia a mano. La classe dirigente legge Libero, è questa l’amara verità. Poi ci sarà qualcuno che sfoglia il Financial Times per darsi un tono. Il Foglio è rimasto in mezzo, tragicamente fuori target.

La verità è che Il Foglio dovrebbe parlare soltanto bene dei blog. Ogni volta che un blog italiano fa un colpaccio, la redazione del Foglio dovrebbe titolare a quattro colonne: “noi lo sapevamo. Noi eravamo un blog quando ancora internet non c’era”. Perché è così. Quando io venivo in biblioteca, nel secolo scorso, a scaricare la posta da un 46k, il Foglio era già al suo posto nel raccoglitore di quotidiani, ed era già cazzeggio autoreferenziale. I tormentoni, i libri e i cantautori preferiti, i flame, era già tutto pronto. Mancava il supporto elettronico, ma i contenuti c’erano al 100%.
Non che io lo toccassi volentieri, ma in seguito l'ho letto molto, di seconda mano, proprio a causa dei blog. Un sacco di blog sbrodolavano adorazione per il Foglio, citando interi articoli. Se l’elefante aveva azzeccato un editoriale, sicuro che me lo copincollavano almeno un par di volte.

Adesso invece di Ferrara nessuno parla più, se non per spernacchiarlo, tanto che alla fine quatto quatto s’è fatto un blog pure lui, e che dire? Bravo Ferrara! E di che parla? Non è mica autoreferenziale, lui, macchè. Lui fa una polemica con Giampiero Mughini sul sesso. È chiaro? Vale la pena di ripetere? Una polemica, nel 2007, con Mughini, nel 2007, sul sesso.

Poi uno si lamenta perché Grillo usa male il blog? Ferrara lo usa per polemizzare con Mughini! Se Grillo attacca i buoi all'automobile, Ferrara ci attacca un'incudine da una tonnellata e poi parte in discesa. Ma scusa, se vuoi dire una cosa a Giampiero, invitalo nel tuo salotto tv! Oppure invitati tu a Controcampo, che bisogno c'è di annoiare i lettori con un lenzuolo sul... sesso? Perché tu saresti un'autorità sul sesso? Da quando? E in che modo è potuto succedere?

Scrivi che in occidente è diventato ridicolo. Proprio così. “Oggi il sesso non è libero, è soltanto ridicolo”. Parola di Ferrara. Ma quanto ne fai per dirlo? Ma sei sicuro che il sesso che fai tu sia rappresentativo della media occidentale? Perché a me qualche dubbio a volta viene, e sono un trentenne normodotato. Tu invece sei un vecchio obeso: non hai proprio nessunissimo altro argomento su cui pontificare? Se ho voglia di farmi un’idea sul sesso occidentale vado da pornoromantica. Da Melissa P. Vado in chat. C’è un migliaio di posti dove potrei andare, e in nessuno di questi posti mi piacerebbe trovarci tu o Mughini che vi scambiate dei pareri nel vostro lessico maldestro. Perché oltre a non essere due amatori rappresentativi (e non c'è nulla di male), restate anche due mediocri prosatori che continuano a sparare bordate di lessico stravagante nella speranza che qualcuno non se ne accorga e non si annoi. Io di solito manco vi seguo: scrollo col mouse e mi fermo quando vedo accrocchi di lettere strane. Molto spesso è tedesco, lingua che so poco – e voi meno di me.
Da noi si parlicchia, si freudeggia, si danza intorno a un sostituto, a un Ersatz

Sul serio, non vorrei essere nel lettore della classe dirigente che si mette a cercare Ersatz su google. Credo che ci metta meno tempo a prenotare un’escort, con la quale poi parlicchierà e freudeggierà a piacimento. Ma mangiatela, l’Ersatz, e se non va giù, condiscila con la mia Weltanschauung, toh, valà che ti piace.

Oscenità a parte: se anche Ferrara può avere un blog, cosa aspettano i pecoroni al seguito? Ci vuole così tanto coraggio a chiudere la baracca e ad aprirsi, finalmente, un bel multiblog, parolaio e autoreferenziale? Ci avete pensato a quanti soldi (nostri) e quanta carta risparmiata? E magari verrei a vederlo, sul serio, ci verrei! Mentre adesso il vostro lenzuolo in pdf non lo apro neanche per sbaglio, il pdf è una cosa che mi fa senso, puzza di concorsoni ministeriali e pecette della CIA, pussa via! Ma come si fa a mettere on line un pdf, nel 2007? Scusate l’insistenza sul calendario, eh, ma in dieci anni io ho cambiato almeno tre sistemi operativi, e sono uno tirchio. Voi invece siete ancora al pdf, è una cosa che dà da pensare.

Poi magari siete gli stessi che “dopo l’11 settembre nulla sarà come prima”: eh, magari. Voi, per esempio, anche dopo l’11/9/2001, siete rimasti al 1996. E si vede, si vede sempre più. Dieci anni fanno una certa foschia - state per scomparire dietro l'orizzonte. Vi volete dare una mossa? Qua da noi c’è tutta la fuffa che vi serve, tutta l’acrimonia che vi manca, tutto lo spirito che avete smarrito da un pezzo. Aver perso un tram è un peccato, ma non può diventare una vocazione. Potete prendere sempre quello successivo, ne passano continuamente. Insomma, in strada, su. Seguite Ferrara, seguite Camillo, seguite chiunque, vi aspettiamo.
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- oh! battagliero

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Uno sguardo ardito e fiero che rincorre l'aldilà

Io non volevo troppo parlarne, ma è vero che in questi fine settimana, in queste nebbiose città cispadane, la gente col bicchiere in mano guarda il cielo o guarda i portici e non fa che chiedersi: hai visto che fine ha fatto Lindo? C’è qualcosa che possiamo fare? Per lui? O per non diventare come lui?

Non lo saverà dal cero / il suo lucido pensiero

A domanda rispondo che l’unico vero vaccino a quel che è successo a Lindo (la vocazione fulminante) andava preso da bambini. Si chiama catechismo, è abbastanza duro da mandar giù, ma se ti fai la trafila regolare dalla prima confessione alla Cresima, ti puoi considerare abbastanza immunizzato. E allora lo vedete che serve, il catechismo? E i sacramenti? Non solo per conoscere Gesù, ma per assuefarsi ai preti. Hai paura di soccombere al fascino dei preti? Vent’anni di messe alla domenica, e non ci pensi più. Nessun campanaro è mai stato fatto santo, che io sappia.
E questo ci pone un problema, amici emiliani. Siamo stati un po’ svogliati negli ultimi cinquant’anni. Quello che è successo a Lindo può davvero succedere a chiunque. Non siamo vaccinati alla vocazione. Al primo incidente, alla prima malattia grave, c’è il rischio che cadiamo come pere. Fortuna che abbiamo dei buoni ospedali.

Fortuna? Lindo è stato salvato dalla scienza, e si è convertito alla religione: così la scienza impara, a salvare i vecchi punk. Ora combatte l’uso delle staminali: guai se un giorno la gente soffrisse meno di quel che ha sofferto lui. Tutto questo è persino buffo da quanto è ingiusto: perché non succede mai il contrario? Avete mai sentito parlare di un malato salvato da Padre Pio che si converte alla ricerca scientifica e lascia tutti i suoi averi a Telethon?

Rispettoso e lusinghero il giudizio che si dà

Io non volevo troppo parlarne: chi è Lindo, dopotutto, perché me ne freghi di lui? Chi l'ha visto un po' più da vicino non credo sia troppo stupito. Lui sul misticismo ci ha sempre giocato: a fine anni Novanta venne a Modena a leggere vangeli apocrifi in una chiesa sconsacrata. Penserete a una provocazione profana, e invece no: la chiesa era l’aula magna della fondazione-collegio San Carlo, un’istituzione culturale, ed era piena di signore impellicciate e giovani in tenuta alternativa. Tutti assieme, perché questa è l’Emilia, e nelle sue contraddizioni placide Lindo ci sguazzava. Ma a noi stava bene così, pensavamo fosse una posa, un gioco. Se invece diventa una cosa seria, ci restiamo male. Interessante, no?

Ci restiamo male perché da qualche parte abbiamo letto che Lindo è uno di noi, che quel che succede a lui ha senso per voi. Ma dov’è scritto, esattamente? Quand’è che Lindo ha cominciato ad appartenerci?
C’è un po’ di confusione: abbiamo sovrapposto alcune cose. Negli anni Novanta il famoso crollo delle ideologie, bla bla, è stato cauterizzato con una botta di autoindulgenza padana. Quanto siamo simpatici noi emiliani, un po’ comunisti un po’ anche no, con Ligabue e Guccini e tutte le pubblicità di roba da mangiare in tv. E va bene.

Un giaccone color nero / marca la diversità

Ma Lindo non c’entra. Passava di lì per caso, e a osservarlo bene era chiaro che se ne sarebbe andato da qualche altra parte. Lui veniva dagli anni Ottanta, e negli anni Ottanta chiedeva una mano per bruciare il piano padano. I suoi ’80 non erano quel paradisino di plastica e gel che ci raccontano su MTV: erano quelli dell’eroina e dei bombardieri su Beirut. La sua Emilia era una patria paranoica, i circoli Arci lampi nella notte privi di qualunque poesia crepuscolare, un mondo che si sgretola e rotola via (narcotico, frenetico, smanioso, eccitante). Una terra piatta senza connessioni, dov’è impossibile incontrare davvero le persone: Lindo non smette di ricordare che i CCCP sono nati a Berlino, come se solo a Berlino due reggiani potessero incontrarsi davvero e combinare qualcosa.

Né un manipolo guerriero / lo potrà resuscitar

Lindo era punk: di quel punk intellettualoide, situazionista, che andava in quegli anni, e che noi non riusciamo più a capire, da tanto lo abbiamo metabolizzato. Adesso a Reggio ci sono gli Offlaga Disco Pax: un gruppo che tratta l'Emilia '80 come la piccola terra perduta, il Canavese di Gozzano. Sono molto simpatici, ma Ferretti non era così. Lui voleva essere davvero sgradevole, e noi ci siamo sforzati di farcelo piacere: se non è un equivoco questo. Quando provocava lo prendevamo seriamente: quando era serio, ci piaceva pensare che scherzasse. Bene, adesso è serio.

...E a me scappa da ridere. Dopo tanti anni di parrocchia li conosco, i convertiti. Intorno a loro c’è sempre una nuvola di zelo esilarante.
Pensate solo a Giuliano Ferrara, che in mancanza di meglio elegge Lindo Ferretti musa dei Teocon, con relativo effetto-Barney sulla redazione del Foglio. Pensate ai redattori costretti ad ascoltare e commentare con aria ispirata Affinità-divergenze tra il compagno Togliatti e noi. Beh, non è fantastico?
Potete prendervelo Lindo, mica è nostro. Non è di nessuno. Potete usarlo come megafono, probabilmente s’incepperà, pazienza. Fatene quel che volete, ma sappiate che c’è una cosa che non riuscirete mai a fargli fare: tenere una nota. Quello è stonato. Una missione impossibile, anche per la Madonna di Civitavecchia. O no?

Corre in cielo corre in cielo...
Oh! Battagliero.
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Sullo sciopero non ho molto da dire. C’era molta gente ed è piovuto.

Il carro armato dei vincitori

Stavo pensando invece a quello che ho sentito al telegiornale, sapete, quelle cose che ti bloccherebbero lo stomaco, se non fosse assuefatto sin dalla più tenerà età a digerire al suono dei bombardamenti e degli spot dei pannolini. Si parlava di un bambino estratto dalle macerie della sua casa dopo qualche giorno: accanto a lui i cadaveri dei genitori. Un terremoto?
No, Tsahal.
“L’esercito più democratico del mondo”, ho letto da qualche parte. Del resto Israele è “l’unica democrazia del Medio Oriente”, no? (A proposito, un premio a chi mi scova la Costituzione democratica dello Stato d’Israele).
Qualcuno dovrebbe spiegare agli israeliani che la democrazia consiste in un’assunzione di responsabilità. E in caso di strage o genocidio, la democrazia è un’aggravante.

Per esempio: quando parliamo delle leggi razziali nel ‘38, noi italiani ci aggrappiamo disperatamente al fatto che il fascismo era una dittatura, priva di un autentico consenso popolare (e c’è anche chi sostiene il contrario). Allo stesso tempo, tra qualche anno forse anche gli israeliani preferiranno pensare a Sharon come a un feroce dittatore. Beh, non lo era. Era il leader democraticamente eletto dell’unica democrazia del Medio Oriente. Aveva l’appoggio della maggioranza degli israeliani e di una parte rilevante dell’opinione pubblica occidentale.

"Perché i pacifisti non fanno gli scudi umani nei bar di Tel Aviv", si chiedono? A parte che i pacifisti ci andrebbero anche, nei bar, ma ultimamente non superano le celle di detenzione dell'aeroporto (dove vengono pestati nella maniera più democratica del mondo), il motivo è semplice, ed è il seguente: contro un kamikaze non c'è scudo umano che tenga. Signori equidistanti, un minimo di buon senso. Un ragazzetto di Hamas che ha deciso di farsi la pelle per attirare l'attenzione sulla questione palestinese si farebbe qualche scrupolo a coinvolgere nel suo massacro un turista-pacifista europeo? Perché dovrebbe? Anzi. Più che scudo umano, sarebbe un incentivo.

I pacifisti non sostengono il terrorismo palestinese. I pacifisti, col terrorismo palestinese, non cercano neanche di ragionare. Motivato o no dalla disperazione, il fanatismo non è un interlocutore. Israele sì. Quando andiamo davanti ai carri armati di Tsahal, noi stiamo scommettendo proprio sulla democrazia di Tsahal e di Israele. Quando gli agenti aeroportuali ci pestano e ci respingono, stanno dimostrando che la nostra fiducia è mal riposta.

E L’Israel Day. Ora premesso che in Italia c’è libertà di manifestazione e libertà di pensiero io mi chiedo: ma con di tutte le settimane che Dio manda sulla terra, per dimostrare la solidarietà a Israele, Ferrara e soci, dovevano proprio scegliere la settimana in cui si compiva la pagina forse più nera di Tsahal, l’eccidio di Jenin? Questi signori, oltre a scrivere i giornali, potrebbero anche leggerli ogni tanto: la strage era largamente annunciata. Passeranno alla storia per quelli che, nei giorni di Jenin, manifestavano perché “era minacciata l’esistenza stessa d’Israele”!

Ma cos'è Israele? Quella specie di oasi di democrazia nel Medio Oriente di cui parlano Ferrara e Lerner, quello Stato senza il quale ci sentiremmo tutti più antisemiti? Come non vedere che la creazione di Israele rispondeva proprio all'esigenza di tanti antisemiti europei di non trovarsi più gli ebrei tra i piedi? Come non vedere che Israele è uno dei pochissimi (forse l'unico) Stato fondato su base etnica (qualunque ebreo da ogni parte del mondo può ottenere la cittadinanza e ricevere incentivi per metter su casa nei Territori Occupati): un anacronismo spaventoso? Come non vedere che la guerra di Palestina è la prova generale del Grande Conflitto delle Civiltà, che i nostri figli d'origine europea e d'origine araba combatteranno nelle nostre città? Com'è possibile non vedere tutto questo? Soltanto per mettersi, una volta in più, sul carro (armato) dei vincitori?
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naso da pugile piace alle ragazze

Tra i vari effetti negativi che ha indubbiamente il tenere un blog (sindrome di Celentano, stress da contatore, paranoia da referrer, cazzeggio compulsivo…), ce n’è uno positivo, e cioè: scrivere in pubblico ti costringe a fare i conti coi tuoi limiti. E questo è importante.
Se guardo dietro di me, vedo un signorino che si credeva assai informato e intelligente, appena un anno fa. Oggi non sono più così sicuro sul mio grado di intelligenza o di informazione. Mi accorgo sempre più che vado avanti per istinto. E mi accorgo anche che va benissimo così.

Un anno fa avevo teorie da spiegare al mondo. Oggi va grassa se mi riesce di metter su un pezzo divertente ogni tanto. Nel frattempo le cose diventano sempre più intricate e incomprensibili. Siccome non posso bermele tutte (da Bush che si strozza con un salatino ai complotti delle toghe rosse alla gloriosa missione italiana in Afghanistan, a Berlusconi grande mediatore europeo), non mi resta che andare a naso, e pazienza se a volte lo sbatterò contro il muro. Che poi la verginità l’ho persa molti anni fa, e non la rimpiango neanche.

Così, a naso, direi che Borrelli ha ragione a protestare e Taormina deve aver imparato da certi suoi clienti l’arte della minaccia. Così, a naso direi che, piuttosto che per un banale match di football, è più facile strozzarsi davanti a un rapporto sullo scandalo Enron. Così, a naso, direi che i Dieci Piccoli Italiani in Afghanistan ci stanno coprendo di ridicolo, e che a questo punto gli italiani dovrebbero farsi tutti pacifisti gandhiani per un semplice questione di decoro. Così, a naso direi che l’articolo 18 è una trincea più simbolica che reale, una specie di Linea Rossa, perché tanto i nuovi imprenditori aprono una ditta nuova ogni dieci dipendenti.

Così, a naso, direi che Israele sta vivendo un incubo dal quale lui solo può decidere di svegliarsi. Dopo mesi di blocchi in tutti i territori, come può un 'martire di Al Aqsa' entrare in un locale di Tel Aviv e fare fuoco? E allora a che serve tenere sotto sequestro tutto il popolo palestinese? Togliere i blocchi. Riprendere il dialogo con Arafat. L’incubo non finirà, ci saranno ancora morti inutili, il tunnel della pace è lungo e stretto, ma ha una via di uscita. Il tunnel dell’odio è cieco.

Queste cose io le dico a naso. E magari dico un sacco di cazzate, e i posteri rideranno di me (tanto sarò morto). Oppure io stesso riderò di me, quando tra qualche anno, dopo aver studiato con attenzione ogni questione, concluderò che Berlusconi, Bush e Sharon sono stati tre formidabili statisti, e io ero il solito giovane accecato dalle ideologie. A quel punto, però, spero che mi offriranno qualcosa, una sottosegreteria, una rubrica sul Foglio, una striscia in tv, perché nessuno si converte gratis, neanche San Paolo.

Nel frattempo, io, a naso, decido volta per volta da che parte stare, e se mi sbaglio, tanto peggio per me. E tanto meglio per chi sta dall’altra parte. Quelli li posso anche capire.
Faccio più fatica a capire, invece, quelli che si tirano fuori da gioco, come se non li riguardasse. Come se fossero i giudici – non alla maniera di Borrelli, no, infatti loro giudicano anche Borrelli, che “dovrebbe fare il suo mestiere”.

Gli italiani sono fatti così. Hanno una soglia d’indignazione molto bassa, che scatta subito, dopodiché può succedere qualsiasi porcheria, loro ormai sono indignati. E a quel punto non c’è più niente da fare. Un po’ come i cani, che se gli punti il dito loro guardano il dito, il meccanismo indignatore scatta sempre di fronte al messaggero piuttosto che al messaggio. Non scandalizza che esista una rete pedofila in Italia, scandalizza che Gad Lerner ne parli in prima serata. Non scandalizza che Berlusconi cambi legge per salvare i suoi amici inquisiti: scandalizzano i magistrati che denunciano la situazione.

Voi, che finché non si processa (e si condanna, evidentemente) un D’Alema o un Rutelli non ha senso processare Berlusconi. Così, per par condicio. Quanto siete garantisti. Quanto siete equilibrati. Voi il naso di sicuro non ve lo rompete da nessuna parte. Lo tenete ben alto a fiutare da che parte tira il vento, e così, impalati sull’attenti, ci fate anche la figura di uomini tutti d’un pezzo. Beh, che posso dire, bravi. Qualcosa però ve lo perdete. Che cosa esattamente non lo so, però qualcosa. Il naso da pugile, forse. A certe ragazze piace.
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